Gazzetta di Reggio

Reggio

sotto la cupola 

Un santuario in forma di città. Perché la Ghiara è un miracolo

Stefano Scansani
Un santuario in forma di città. Perché la Ghiara è un miracolo

Perché questa chiesa seicentesca è così importante, così bella, così preziosa e così amata? Riflessione laica sul senso della chiesa nata e cresciuta come civica e all’avanguardia estetica  

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REGGIO EMILIA  Così, improvvisamente, Reggio Emilia dimentica d’essere ortogonale, esagonale, progettata romanamente per linee rette e angoli drastici. Diventa curva. La città in quella sua porzione interna, occidentale, si tranquillizza, riflette, prega. Non poteva esistere una prospekt migliore di corso Garibaldi che s’inarca fra piazza del Cristo e piazza Gioberti, dove far crescere su un miracolo, il greto ghiaioso d’un vecchio fiume, la sua chiesa civica.

La basilica santuario della Ghiara compone il trittico dei luoghi sacri storici della città, e lo fa con un carattere suo, speciale. La cattedrale è la chiesa matrice, San Prospero è la casa del patrono, la Ghiara è il luogo di culto della gente. Non per nulla nei secoli è nata e cresciuta grazie alle corporazioni, alle borghesie prima ancora che alle aristocrazie reggiane, e ancora oggi conserva il suo carattere “comunale” (come San Petronio, che non è la cattedrale di Bologna, ma radicata nella memoria come grande chiesa del libero comune).

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La Ghiara ieri ha festeggiato i suoi 400 anni, rappresentativi di generazioni di reggiani, lavoratori, devoti, peccatori, briganti e beati. Ora pro nobis. Un tempio così profondamente collocato negli affetti dei cittadini non poteva non diventare anche una rappresentazione e un laboratorio dell’arte. Fin da subito.

Se infatti volete scegliere un luogo dove sono concentrate la tensione e la cultura artistica d’inizio Seicento in Emilia, ecco, quello è il santuario della Ghiara. Qui c’è il meglio: da Ludovico Carracci al Guercino, da Lionello Spada ad Alessandro Tiarini, da Carlo Bononi a Luca Ferrari.

Tutto in quel tempo, l’interno e l’esterno dell’edificio, doveva apparire all’avanguardia, sofisticato, spregiudicato, bellissimo, ad alta densità di cose belle (che secondo l’estetica e la spiritualità avvicinano a Dio).

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L’affresco con la Madonna e il Bambino, realizzato dal Bertone su un disegno di Lelio Orsi, trasferito dalla prima cappella all’altare mariana della nuova Ghiara progettata da Alessandro Balbi e condotta a termine da Francesco Pacchioni, è la cellula primaria. Arte produce arte. Da quel dipinto, replicato per quattrocento anni nelle statue, nelle medaglie e nei santini domestici, ha pigliato vita e movimento il lieto frastuono barocco che orna la parte superiore dell’interno della basilica. Parte superiore: gli affreschi, gli stucchi, le dorature, i cartocci “volano”, rispetto alla base architettonica del tempio che non ha apparati dipinti, proprio per verticalizzare e sospendere cielo e paradiso appena sopra le nostre teste. Per aria esiste, dialoga, opera un complesso apparato di storie, simboli, profezie, connessioni tra il Vecchio e il Nuovo Testamento in un reticolo che fa vibrare le volte e gli interni delle cupole (la maggiore, e le altre quattro delle cappelle. Consiglio al riguardo la lettura di “Donne e Madonne”, un recente saggio-guida che Ivanna Rossi ha dedicato appunto al programma decorativo della Ghiara con la sua chiave femminile, totale. Il viaggio estetico ed estatico nella basilica officiata dai Servi di Maria va compreso per due versi: quello sacro e quell’altro antropologico. Perché la Ghiara è la città: centralizza la vita civile intorno.
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Non per nulla la basilica è stata concepita architettonicamente a croce greca, cioè con quella conformazione (spaziale e anche ottica) che non chiede al visitatore/fedele di incamminarsi verso il sacrario, di compiere un percorso su una navata lunga, ma di stare in mezzo, al centro. La percezione spaziale è dunque totalizzante: basta sostare sotto la cupola maggiore ed è possibile sperimentare la rilevanza dell’uomo e la percezione diretta con il trascendente. L’occasione del giubileo può essere per i credenti e i non credenti, i sicuri, i tiepidi e i freddi, una ri-comprensione della nostra storia artistica e della salvezza.

La Ghiara è un bene senza misura che va salvaguardato e promosso: questo quasi anno di festeggiamenti può essere l’occasione oltre che di pregare, lucrare l’indulgenza plenaria, anche di convincerci dell’energia della storia e delle testimonianze dell’arte. L’occasione è terapeutica, formativa, rinfrancante, pacificante.

Per tutti. —