Un politico alle Dogane al servizio del clan
In manette anche Giuseppe Caruso, presidente a Piacenza Il gip: «Ha un ruolo non secondario nella consorteria»
BOLOGNA. «C’è qualche perplessità, si fa un po’ fatica da addetti ai lavori a capire come, in un’area come questa dove c’è un grande senso civico e una diffusa cultura della legalità, queste cose non si riescano a superare. Per questo abbiamo chiamato l'operazione Grimilde, con riferimento alla sindrome di Grimilde che non ammette le sue imperfezioni e non si guarda allo specchio». Parole come pietre, dette dal responsabile della Direzione centrale anticrimine (Dac) della Polizia Francesco Messina, ieri a Bologna per illustrare i particolari dell’operazione contro la ’ndrangheta nella bassa reggiana. C’è anche la pm antimafia Beatrice Ronchi, titolare delle indagini, seduta però in disparte nella sala della questura dove sta parlando alla stampa, assediato da telecamere e microfoni, il procuratore Giuseppe Amato, seguito da Messina e del direttore dello Sco Fausto Lamparelli.
C’è infatti un pezzo di politica nell’inchiesta, che ha portato all’arresto con l’accusa di associazione di stampa mafioso anche di Giuseppe Caruso, di Fratelli d’Italia, che secondo il gip Alberto Ziroldi «ha un ruolo non secondario nella consorteria». «Il coinvolgimento personale di Caruso risale a quando era dipendente dell’Agenzia delle Dogane di Piacenza – ha spiegato Amato – e non riguarda il suo ruolo politico». Caruso, per il gip, avrebbe «messo stabilmente a disposizione le prerogative, i rapporti professionali e amicali e gli strumenti connessi al proprio lavoro di dipendente dell'ufficio delle Dogane di Piacenza per il perseguimento degli interessi» del sodalizio ’ndranghetistico. «Perché io ho mille amicizie, da tutte le parti, bancari, oleifici, industriali – diceva il politico parlando con un altro indagato mentre era intercettato nel 2015 – tutto quello che vuoi... quindi io so dove bussare...». E ancora, mentre parlava con il fratello Albino, anche lui arrestato: «Io con Salvatore (Grande Aracri, ndr) gli parlo chiaro, gli dico... Salvatò, non la dobbiamo affogare sta azienda, dobbiamo cercare di pigliare la minna e succhiare o no?». Il riferimento è alla “Riso Roncaia Spa”, azienda mantovana che si era rivolta all’organizzazione, finendo poi nelle sue grinfie e coinvolta in una presunta truffa su un finanziamento Agea.
Ma l’operazione Grimilde «nasce anche da elementi del processo Aemilia» ed è stata possibile anche grazie alle denunce di persone che erano finite nel mirino del sodalizio criminale guidato da esponenti della famiglia Grande Aracri e «al contributo, accuratamente vagliato, di collaboratori di giustizia chiave, come Antonio Valerio e Giuseppe Giglio, e anche nuovi» ha detto Amato. Una operazione «che idealmente e materialmente rappresenta la prosecuzione del processo Aemilia». Del resto, ricorda il procuratore in conferenza stampa, «lo avevamo detto che Aemilia non era il punto terminale dell’attività di contrasto all’infiltrazione della ’ndrangheta in Emilia, perché altri accertamenti erano in corso». —
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