«Mi dissero: mai nominare il cognome Grande Aracri Fu l’inizio di un incubo»
Il 40enne preso a schiaffi, pugni e costretto a spogliarsi «In ospedale un maresciallo mi invitò a denunciare, ma avevo paura di ritorsioni»
brescello. «Non nominare mai il nome dei Grande Aracri». È il primo “avvertimento” che Paolo Grande Aracri e Manuel Conte fanno al barista 40enne. «Furono i due a dirmi che il tale sulla carta sarebbe stato l’acquirente. Entrambi mi fecero presente di non raccontare in giro che Paolo fosse uno dei reali acquirenti. Paolo inizialmente si è presentato come Paolo Grande. Conte mi disse di non nominare mai il cognome di Paolo perché era nipote di “Gommino”, fratello del padre. Paolo mi raccontò che lui aveva una ditta di marmi e che, a causa del suo cognome e soprattutto della parentela con lo zio boss, aveva avuto dei sequestri».
Il racconto del 40enne è agghiacciante e dipinge un vortice di soprusi che lo trascina sempre più in basso.
La storia inizia prima di Natale 2017, quando «giungono a pranzo nel mio ex bar» i due poi arrestati. Il barista ha già intavolato una trattativa con un altro calabrese possibile acquirente, che viene fatto scappare. «Ho notato che l’altro manteneva con Paolo un atteggiamento dimesso, quasi fosse il capo». «A gennaio 2018, quando il bar era ancora mio, i due hanno iniziato a essere sempre presenti al bar e gli incassi della giornata se li dividevano tra di loro senza darmi niente. Paolo diceva che i soldi gli servivano per la ristrutturazione della sua casa, Manuel li spendeva in scommesse. Molti clienti, a causa della loro presenza, non sono più venuti al bar». Dopo la firma dal notaio («il notaio disse che gli appariva strano che non venissero elargiti assegni per garantire il pagamento, ma nessuno rispose»), i due impongono al 40enne di rinunciare a qualsiasi compenso. «Dopo alcune richieste dello stipendio ho ricevuto minacce soprattutto da Conte, che arrivò anche a colpirmi con degli schiaffi davanti ad una mia ex dipendente. Mi davano 20 euro ogni tanto per la benzina». Al contrario, il 40enne viene costretto a consegnare un “prestito” di 12mila euro. Il clima di intimidazione è ben descritto. «La pressione era costante. Manuel spesso mi dava degli schiaffi; una volta un pugno che mi fece sanguinare il naso, perché non facevo le cose che voleva lui o perché non tornavano i conti della cassa. Una volta mi ha spogliato dei vestiti che indossavo per controllare che non nascondessi soldi. Manuel mi voleva sempre al suo fianco e mi perseguitava: a volte prendeva la mia auto, intestata a mio padre, e girava per la Ztl prendendo multe che poi ho dovuto pagare. Un’altra volta con la sua macchina già ammaccata urtò la mia auto per poterla riparare, dando lo scarico alla mia assicurazione».
Fino all’ultimo atto. «Un venerdì di maggio, stanco, mi chiusi in casa. Manuel continuò a presentarsi a casa mia, parlò con mio padre, poi andò dai carabinieri dicendo che secondo lui intendevo suicidarmi. Alle 11, aprendo la porta, trovai i carabinieri in compagnia di Manuel, della Municipale e del 118». Il 40enne viene ricoverato al pronto soccorso, nell’ipotesi di un tentato il suicidio. «Adesso posso dire che la mia forse era una richiesta di aiuto: raccontai il mio stato d’animo e parte di quelle pressioni subìte, senza però entrare nei particolari. Il lunedì il maresciallo mi invitò a formalizzare una denuncia, ma non ci sono più andato per paura di ritorsioni da parte loro». —
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