Grimilde, per 83 la pm chiede il processo
Nel mirino della Dda non solo Francesco Grande Aracri e i suoi figli ma anche tre coinvolti in Aemilia: Silipo, Costi e Clausi
L’operazione antimafia denominata Grimilde è ormai ad un passo dall’udienza preliminare: la pm Beatrice Ronchi ha infatti chiesto il rinvio a giudizio per 83 persone.
L’inchiesta molto mirata su Brescello – con l’accusa di associazione mafiosa nei confronti di Francesco Grande Aracri e i figli Salvatore e Paolo – ha cambiato assetto più volte dal clamoroso blitz della Mobile all’alba del 25 giugno scorso. Le indagini coordinate dalla pm Ronchi della Dda di Bologna hanno subito indagato 76 persone, poi divenute 85 alla fine delle indagini e ora attestatesi su 83 di cui viene chiesto il processo. Da quanto “filtra” sono state archiviate le posizioni di due persone ritenute inizialmente coinvolte in intestazioni fittizie di beni immobili con l’aggravante mafiosa, ma successivamente, con le spiegazioni date, sono uscite di scena.
Fra le figure non di secondo piano annotiamo anche tre finite pure nel maxiprocesso Aemilia. Si tratta dell’imprenditore edile 50enne Antonio Silipo (condannato, con rito abbreviato, in via definitiva a 14 anni di reclusione), del commercialista 47enne Donato Agostino Clausi (pure per lui pena definitiva, in rito abbreviato, a 10 anni e 4 mesi di carcere) e dell’imprenditore 45enne Omar Costi (condannato in primo grado a 13 anni e 9 mesi di reclusione). Silipo e Costi – secondo la ricostruzione fatta dall’Antimafia – fra il febbraio 2013 e il marzo 2014 sarebbero stati protagonisti di una vicenda di usura aggravata dal metodo mafioso. Avrebbero fatto un prestito di 50mila euro a due coniugi (titolari di due società) per poi farsi corrispondere non solo quella cifra, ma anche interessi usurari per complessivi 33.900 euro (gli investigatori hanno calcolato un tasso di interesse mensile del 21%, circa il 252% annuo). Il tutto con l’aggravante di aver approfittato «dello stato di bisogno delle persone offese e in danno di persone che svolgono l’attività imprenditoriale». Al solo Silipo viene contestato – sempre per questa vicenda – il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, ritenendolo responsabile di telefonate minacciose «evocando l’intervento di esponenti del sodalizio ’ndranghetistico di appartenenza». Nell’imputazione vengono riportate alcune frasi intercettate, tipo: «Io poi da là in poi ve la vedete direttamente con loro, ve la vedete, perché poi io giustamente mi sono stufato di prendere cazziatoni».
Mentre a Clausi viene attribuito il coinvolgimento – come professionista – nell’intestazione fittizia (il 2 febbraio 2012) della titolarità di due società di autotrasporti (una con sede nel Mantovano, l’altra a Gualtieri) ad altre persone «per eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali». —