Gazzetta di Reggio

Reggio

«Lasciammo quello in scagliola e caricammo quello in bronzo»

Rodolfo Curti ; * cittadino di Cavriago
«Lasciammo quello in scagliola e caricammo quello in bronzo»

Furono Rodolfo Curti e Piero Cadoppi ad andare a prendere il busto di Lenin a Roma Ma quello donato dai moldavi in vista del gemellaggio non arrivò mai a destinazione 

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IL RACCONTO

Rodolfo Curti

In occasione dei preparativi del gemellaggio tra Cavriago e Benderi, i moldavi ci avvisarono che avrebbero donato al nostro paese un busto di Lenin da installare in una piazza da intitolare al leader della Rivoluzione d’Ottobre. Per i preparativi del gemellaggio si era mobilitata l’ambasciata dell’Urss; un loro addetto era venuto a Cavriago a controllare che tutto venisse fatto a regola d’arte.

Era il febbraio del 1970 quando dall’ambasciata ci avvisarono che i moldavi avevano spedito il busto e che sarebbe arrivato a giorni. Occorreva darsi da fare. Dove collocarlo? Su quale basamento? Il sindaco e il partito si misero all’opera senza sapere ancora di cosa si trattava, si sapeva solo che nel breve sarebbe arrivato. “Il busto è arrivato a Roma” ci dicono dall’ambasciata. Che fare? Abbiamo Piero Cadoppi, autista delle Latterie Riunite di Reggio Emilia, che una o due volte la settimana va a Roma col furgoncino del latte. Bene, risolto il problema del trasporto. A Piero viene assegnato un preciso incarico: nel prossimo viaggio deve recarsi all’ambasciata e prendere il busto.

Piero esegue l’ordine, ma all’ambasciata il busto è ancora imballato e il volume dell’imballo non è alla portata del furgone. Al ritorno Piero racconta perché non ha caricato il busto, risposta del partito: “Cerca di andare con un camion più grande”. Piero chiede però che qualcuno lo accompagni perché all’ambasciata, quando si era presentato, si era trovato un po’ in imbarazzo. Così fu deciso che ad accompagnarlo fossi io.

Partimmo alle due del mattino con un camion adeguato. “Piero ma tu l’hai visto il busto?”, chiedo. “Ho visto solo l’imballaggio”, risponde. Il viaggio è accompagnato dalla conversazione sul busto. Come sarà? Riusciremo a caricarlo? Eravamo curiosi di ciò che avremmo trovato. Arrivammo a Roma all’alba, così ci appostammo nei pressi dell’ambasciata, che si trovava in via Gaeta 5. Alle 8.30 suonammo alla guardiola dell’ambasciata.

Davanti al cancelletto Piero mi dice ridendo: “Fai presto ad entrare, vedi tutte quelle finestre nel caseggiato di fronte? Chissà quante telecamere americane ci stanno osservando”. Entrammo. Il primo che ci venne incontro fu il compagno Petrov: “Cosa volete?”. “Siamo venuti a prendere il busto di Lenin”, rispondiamo. “Va bene, lo volete vedere prima?”, lui. E io: “Sarebbe bene”. Vennero due inservienti e staccarono un pezzo dell’imballaggio. Il busto era enorme, realizzato con scagliola bianca. Un busto senza personalità, dozzinale, come migliaia sparsi per tutta l’Urss. Eravamo perplessi. Piero disse: “Ma come facciamo a caricarlo?”.

Eravamo seduti sui gradini all’ombra nel cortile. In quel momento scorgo nel mezzo delle piante un busto di Lenin in bronzo, dalle dimensioni accettabili. Mi rivolsi a Piero: “Quello riusciamo a caricarlo?”. “Sì, sì”, dice Piero. “Bene. Prendiamo quello!”, grido. Nel mentre si erano riuniti a noi alcuni addetti dell’ambasciata che conoscevo. Ci fu una breve discussione, i sovietici erano perplessi. “E di quello che ne facciamo?”, ci chiesero indicando il busto appena arrivato dalla Moldavia. “Fatene quello che volete. Noi prendiamo quello”, un po’ sapevo distinguere se un busto di Lenin era bello o meno, ne avevo visti molti durante la mia permanenza in Urss. “Beh, adesso ci pensiamo”, ci risposero. “No, no, non torniamo ancora a Roma e il gemellaggio è molto vicino, carichiamo quello”, fu la nostra posizione. I funzionari si guardarono stupiti. Qualcuno sorrideva, si capiva che la decisione dipendeva da loro e non c’era nessun impedimento formale particolare. Così insistemmo. “Va bene prendetelo pure”, cedettero. “Ma come fate? Quando verrete?”. “Adesso. – dissi – Piero vai a prendere il camion e vieni davanti al cancello”.

I sovietici rimasero con la bocca aperta. Non sapevano del camion. Con i due inservienti caricammo velocemente il busto e ritornammo a Cavriago. Il giorno del gemellaggio – al cospetto della delegazione moldava, che orgogliosa aspettava di vedere installato il loro dono in piazza – quanta fu la meraviglia, lo stupore, quando videro il busto. Non nascosero la delusione e si offesero. Al posto della bianca scagliola videro un bronzo a loro sconosciuto. Un busto che divenne poi famoso in tutto il mondo. —