Reggio enogastroturistica Subalterna (anche in brodo)
La vicenda dei cappelletti conferma: qui non c’è il salto fra il folklore e l’economia. Sul sito comunale i pezzi forti sono esibiti come “ricette” e non come proposte
REGGIO EMILIA. Il cappelletto è un tema politico. Non c’è occasione nella quale il piatto “nazionale” reggiano non tenga svegli istinti e culture indigeni. E non carburi – anche in piena estate – le discussioni sull’identità e i proverbiali conflitti con le paste farcite in brodo che ci assediano: modenesi, parmigiane e mantovane che siano.
UN MITO COMMESTIBILE
Apposta utilizzo parole come “istinti”, “indigeni” e “carburano” per segnalare come la concentrazione sulle potenzialità enogastronomiche locali sia ancora in una fase folkloristica. Purtroppo. Ha ragione Giovanni Gargano, sindaco di Castelfranco Emilia – patria dell’avversario tortellino modenese – quando dice che Reggio ha un ritardo di quarant’anni sulla costruzione del mito commestibile.
DA FOLKLORICO A ECONOMICO
Un piatto identitario per passare dalla fase folklorica (pancia, festa, mamma, nonna, memoria) a quella economica ha bisogno di “essere creduto”. Questo è un compito che spetta a una catena costituita da amministratori pubblici, ristoratori, imprenditori, associazioni di categoria, esperti di marketing territoriale, operatori turistici, ingegneri della comunicazione.
SIAMO I VICE DEL PARMIGIANO
Se fosse all’opera un tale sistema di soggetti, il mondo reggiano non soffrirebbe di una serie di queste disparità o subalternità: vivere in condominio con l’aceto balsamico, fare il vice del Parmigiano, subire la modenesità del Lambrusco, soffrire del primato del tortellino, assistere al successo dei salumi la cui materia prima è autoctona.
Certo, da noi è tutto auto-buono, gustato da noi è tutto sublime. Ma intanto i vicini sui loro prodotti hanno costruito un imponente immaginario collettivo che va ben oltre i loro confini.
GIOCARE ALLA FRONTIERA
Fa bene il sindaco di Rubiera, Emanuele Cavallaro, a giocare molto seriamente col confine modenese. La frontiera è preziosa, è un bene comune, e se ben gestita dà diversità, promuove le tipicità. Ebbene a Cavallaro è venuto in mente di bandire un concorso per la gestione della grande rotonda che s’incontra sulla via Emilia prima del paese, arrivando da Reggio. Gestione ed edificazione di un monumento al cappelletto. Che non è uno sberleffo ai mangiatori dei tortellini d’oltre Secchia, bensì la segnalazione di uno dei tanti feudi alimentari italiani.
L’AVVENTURA PROMOZIONALE
Così Rubiera, pur non avocando a sé la maternità del cappelletto, ne esalterebbe il ruolo di “inizio dominio”. E poi Rubiera è a metà strada fra Reggio e Modena, come lo è Castelfranco fra Modena e Bologna. E a Rubiera c’è lo storico ristorante clinica gastronomica “Arnaldo”, una stella Michelin, che sui cappelletti ha costruito larga parte della sua fama. Il paese confinario ha quindi tutti gli strumenti per intraprendere un’avventura promozionale.
L’ASSOCIAZIONE
Nel marzo dell’anno scorso a Reggio si è costituita l’Associazione del cappelletto reggiano (info@cappelletto-reggiano.it) che ha formalmente sede in un altro ristorante di punta e avanguardia: il Caffè Arti e Mestieri, figlio del bistellato “Rigoletto” di Reggiolo della famiglia D’Amato.
In novembre, dopo aver raccolto centinaia di ricette domestiche e di storia generazionale, il sodalizio ha presentato in Sala del Tricolore il disciplinare, cioè le linee guida per la creazione/riproduzione ortodossa della pasta farcita col sigillo reggiano.
La stessa associazione, che è presieduta dalla povigliese Fulvia Salvarani, era ed è interessata al monumento, non per intentare una “guerra dei bottoni” (dal romanzo di Louis Pergaud) con altre paste ripiene, ma come azione materiale per muovere azioni concrete. E intanto conseguire la Denominazione Comunale, De.Co. Un primo passo, a chilometri e chilometri di distanza dal tortellino, che è in nettissimo vantaggio insieme ad altri prodotti che anche Reggio produce.
PRODOTTI TIPICI E RICETTE
È interessante esplorare l’elenco di “Prodotti tipici” sul sito ufficiale di informazione turistica del Comune capoluogo.
Riporto l’elenco: il Pan del Re, il Parmigiano Reggiano, il Lambrusco, l’Aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia, i salumi, l’acqua d’orcio, i savoiardi; per Boretto la cipolla borettana, per Campagnola i ciccioli, per Fabbrico il nocino, per Novellara l’anguria reggiana Igp, per Rolo il riso, per Scandiano il vino “Colli di Scandiano e di Canossa” e la “Spergola di Scandiano”.
I piatti identitari sono invece catalogati in “Ricette della tradizione”. E quando si parla di ricette, la proposta è quella di sperimentarle a casa propria e non qui, sul posto.
Il pacchetto dei “Prodotti tipici” così appare privo di un’intenzione promozionale, di marketing, ma più incline all’archeologia beverina (acqua d’orcio), a certi esotismi (i savoiardi sono piemontesi).
I pezzi forti, dunque i cappelletti piuttosto che i tortelli verdi e le tante loro variabili montanare, le generose paste all’uovo, la bomba di riso, l’erbazzone e lo scarpazzone, le specialità a base di castagne, la zuppa inglese e altri dolci sembrano tratti somatici piuttosto che un’offerta turistica. Insomma, non c’è la voglia. —
s.scansani@gazzettadireggio.it