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E' morto Germano Nicolini: era il comandante Diavolo

Germano Nicolini, il comandante Diavolo
Germano Nicolini, il comandante Diavolo

Correggio: addio a uno dei massimi protagonisti della Resistenza. Aveva 100 anni

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CORREGGIO. È morto nella sua casa di Correggio Germano Nicolini, comandante partigiano, uno dei protagonisti della Resistenza in Emilia, noto con il nome di battaglia di "Diavolo". Avrebbe compiuto 101 anni il prossimo novembre. Dopo la guerra fu accusato dell'omicidio di don Umberto Pessina e solo negli anni Novanta fu completamente scagionato dalla riapertura del processo. Il funerale si terrà in forma strettamente privata.

Non avrei mai voluto arrivasse questo giorno. Ci ho pensato spesso, ero certa che non avrei trovato le parole giuste per...

Pubblicato da Ilenia Malavasi su Sabato 24 ottobre 2020

L'INTERVISTA PER I 100 ANNI

«Io non volevo diventare un personaggio, non lo volevo. Ho avuto una vita drammatica ma non me la sono andata a cercare». Così si raccontava poco meno di un anno fa in occasione del suo centesimo compleanno, in una intervista rilascia a Massimo Sesena della Gazzetta di Reggio in cui aveva ripercorso la sua vita: "il giovane sindaco di Correggio, l’ufficiale dell’esercito regio, al Dievel, il comandante partigiano che rischiò la vita nelle campagne di Fosdondo o in quelle tra Mandrio e Carpi, la medaglia d’argento al valor militare, l’uomo ingiustamente accusato, condannato e incarcerato da innocente, il padre che ha pianto la morte di una figlia, il dirigente cooperativo che voleva che l’operaio e il dirigente cercassero insieme il modo di stare meglio tutti".

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LA SUA STORIA

Nato a Fabbrico il 26 novembre 1919,  proveniva da una numerosa famiglia contadina di formazione cattolica. Iniziò, ma poi interruppe per malattia, gli studi classici, conseguendo in seguito un diploma in ragioneria e iscrivendosi quindi all'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano. Durante la seconda guerra mondiale divenne ufficiale del 3º Reggimento carri. Fatto prigioniero l'8 settembre 1943 dai tedeschi nei pressi di Tivoli, dove l'unità carrista era stata distaccata nella difesa di Roma, riuscì a darsi alla fuga e a rientrare in Emilia, dove confluì nella Resistenza italiana diventando comandante del terzo battaglione della 77ª Brigata SAP "Fratelli Manfredi". 

In seguito a una rocambolsca fuga dai tedeschi divennte per tutti il "dièvel". «Ero in bicicletta, disarmato, in una zona che credevo sicura. I tedeschi sbucarono da un argine. Mi buttai giù e corsi zigzagando tra gli alberi, mentre quelli sparavano all'impazzata. Da una finestra due sorelle, nostre staffette, esclamarono: "L'è propria al dievel"» aveva raccontato.

Durante la guerra partecipò a tredici scontri a fuoco e a due battaglie in campo aperto, quelle di Fabbrico e di Fosdondo  contro i nazifascisti, riportando due ferite. Dopo la liberazione venne nominato comandante della piazza di Correggio, quindi ufficiale addetto ai rapporti tra il governatorato e le amministrazioni comunali della bassa reggiana dal governatore americano Adam Jannette. Si distinse anche per l'equilibrio e la difesa di prigionieri fascisti appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana, evitando in più occasioni – come testimoniarono al processo di Perugia del 1947 alcuni di essi – tentativi di giustizia sommaria. Fu anche responsabile partigiano del carcere di Correggio e in tale ruolo, il 27 aprile 1945, respinse il primo di due assalti alla prigione da parte dei partigiani.

Segretario dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia (ANPI) di Correggio, si distinse nell'immediato dopoguerra come pioniere della riconciliazione nazionale aprendo una mensa del reduce cui potevano accedere partigiani ed ex-fascisti che non si erano macchiati di crimini.

Alle elezioni amministrative del marzo 1946, fu eletto nel consiglio comunale di Correggio nelle fila del Partico Comunista Italiano: a fine dicembre dello stesso anno, dopo le dimissioni del sindaco Arrigo Guerrieri, divenne primo cittadino.

L'OMICIDIO PESSINA

L'8 giugno 1946 nella canonica di San Martino Piccolo viene ucciso il parroco, don Umberto Pessina. Sono mesi drammatici in cui il Paese è ancora lacerato dopo la fine della guerra, che nell’ultima sua parte è stata anche guerra civile. A nulla valgono gli appelli alla pacificazione, nelle campagne di quello che verrà soprannominato il triangolo della morte si consumano vendette tra fascisti e antifascisti.  Vengono arrestati Germano Nicolini, Ello Ferretti e Antonio Prodi. Nel gennaio 1948 Cesarino Catellani scrive con Ero Righi una lettera agli inquirenti, dichiarandosi responsabile del delitto. Righi e Catellani non vengono creduti, ma intanto vengono fatti espatriare dal Pci in Jugoslavia. Il 26 febbraio 1949 la Corte d’assise di Perugia condanna per omicidio premeditato volontario Nicolini, Ferretti e Prodi. La sentenza verrà confermata in Cassazione nel 1955.La condanna è a 22 anni di carcere e prevede la perdita di ogni diritto civile e militare. Inutilmente Nicolini cercò di dimostrare la sua innocenza. Ne scontò dieci anni, grazie all'indulto uscì di prigione nel 1956.

Bisogna arrivare agli anni Novanta perchè il caso venga riaperto. Decisivo per scuotere le coscienze fu l'appello che arrivò dall'onorevole Otello Montanari attraverso un articolo che diceva: "Chi sa parli". Il 3 settembre 1990 Ero Righi dichiara che la sera dell’omicidio, oltre a Catellani c’era con lui un’altra persona. Il 10 settembre 1990 il procuratore di Reggio, Elio Bevilacqua, riapre il caso sull’omicidio don Pessina: William Gaiti, il terzo uomo appunto, confessa. La stretta amicizia tra i figli di Nicolini e Gaiti fu decisiva per questa svolta. Il 7 dicembre 1993 la corte d’assise di Perugia proscioglie Gaiti, Righi e Catellani, in virtù dell’amnistia del 1946. L'8 giugno 1994 la corte d’appello di Perugia definitivamente assolve per non aver commesso il fatto Nicolini, Ferretti e Prodi.

L'OMAGGIO

Tra i tanti omaggi a Germano Nicolini, c'è quello dei Modena City Ramblers: una canzone dal titolo "Al Dievel", uscita in una prima versione nell'album La grande famiglia, poi in una seconda versione in Appunti partigiani in cui interviene con voce narrante lo stesso Nicolini, che corregge una frase non veritiera della prima versione.