Gazzetta di Reggio

Reggio

I Ristoratori reggiani «Insieme per ripartire»

Federico Riccò, Simone Gazzotti e Paolo Croci
Federico Riccò, Simone Gazzotti e Paolo Croci

Dalle ceneri del Covid nasce l’associazione che pensa a Reggio Emilia come un unico grande locale

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REGGIO EMILIA. Compagni di sventura che invece di beccarsi l’un l’altro capiscono di potersi dare una mano.
È la favola dei “Ristoratori reggiani”, un’associazione nata qualche giorno fa ma che affonda le sue radici nel primo lockdown, quello della scorsa primavera, quando il Covid, per la prima volta, ha fermato l’Italia e quindi Reggio Emilia.

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In quel momento di incertezza e paura – quando il virus non si conosceva ancora bene, gli ospedali traboccavano e nessuno riusciva a immaginare cosa sarebbe successo di lì a poco – alcuni ristoratori reggiani si sono messi in contatto tra loro. Non era mai successo, quasi non si conoscevano. Ma prima una chiamata, poi un messaggio, Paolo Croci (Osteria Chilometro zero), Federico Riccò (Bottega 39), Simone Gazzotti (Dalla Saraghina) e Luca Ferri (Mangiamore) decidono di creare un gruppo di whatsapp coinvolgendo ristoratori, baristi, gelatai, insomma titolari e gestori dei pubblici esercizi cittadini. L’obiettivo è parlarsi, confrontarsi, soprattutto scambiarsi idee ed esperienze (da ripetere ma anche da evitare) per creare un prezioso patrimonio di conoscenza condiviso.

Il gruppo finisce per decidere la chiusura anticipata dei locali l’8 marzo, per un senso di responsabilità verso i propri dipendenti e anche verso i cittadini. Ancora non si sapeva che una settimana dopo sarebbero state chiuse per decreto tutte le attività, eppure i ristoratori decidono di consegnare simbolicamente le chiavi dei loro locali al sindaco Luca Vecchi.

SGUARDO AL FUTURO
Non è tutto. I “Ristoratori responsabili” – così si sono autodefiniti in quel frangente – oltre alla responsabilità tengono anche a qualcos’altro: il futuro. Ed ecco che l’emergenza provocata dalla pandemia, anche se è presente e pesante, diventa “quasi” (in quelle virgolette stanno il dolore e i sacrifici di tutta una categoria, oltre a chi non ce l’ha fatta) una faccenda del passato. I promotori del gruppo hanno infatti lo sguardo già rivolto altrove, a tutti i domani che verranno. Nella stessa direzione guardano Riccardo Bertocchi (Osteria dell’aviatore) e Marta Danova (La gargotta del Popol Giòst). Con loro la squadra è al completo, l’associazione “Ristoratori reggiani” può presentarsi ufficialmente.

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Alla base del progetto c’è un sogno: «Pensare a Reggio Emilia come un unico grande locale – spiegano Croci (che della neonata associazione è presidente), Riccò e Gazzotti – smettendo di considerarci concorrenti. Siamo nel cuore della “Food Valley”, abbiamo la stazione dell’alta velocità, una cucina che non ha rivali nel mondo... eppure a Reggio non si è mai lavorato per avere una rete, cosa che nelle altre province è avvenuto». In poco meno di una settimana, e con i ritmi serrati dovuti alla riapertura dei locali al pubblico (fino alle 18), sono già arrivate cinquanta richieste di iscrizione all’associazione, «ma secondo i nostri calcoli dovremmo arrivare a raccoglierne 150-200».

I CRITERI
Il gruppo, questa volta, non è aperto a tutti: per entrare a farne parte è necessario lavorare con materie prime di qualità (reggiane e italiane), avere ovviamente una cucina in cui avvengano la lavorazione e la trasformazione dei prodotti in piatti da servire, garantire una certa artigianalità del fare. L’associazione ha già un profilo Facebook (Associazione Ristoratori Reggiani) e un indirizzo mail a cui mandare la richiesta di adesione: ristoratorireggiani@gmail.com.

IL DIALOGO CON IL COMUNE
A differenza di associazioni o comitati che altri, in passato, avevano provato a creare, quella dei “Ristoratori reggiani” ha già iniziato un dialogo costruttivo con il Comune: «C’è molta apertura nei nostri confronti – assicurano Croci, Riccò e Gazzotti – e abbiamo già sul tavolo proposte concrete che, crediamo, potranno essere accettate». Ovviamente è viva la collaborazione con le associazioni di categoria, ma i “Ristoratori reggiani” puntano molto anche sui consorzi: «Aceto balsamico, Parmigiano Reggiano, Lambrusco sono alcuni dei gioielli del nostro territorio. Organizzeremo eventi che permettano di valorizzarli e riscoprirli. Nella “settimana dell’aceto balsamico”, ad esempio, tutti i locali aderenti all’associazione potrebbero servire uno o più piatti con questo ingrediente».

GLI OBIETTIVI
Una ricetta per uscire dalla crisi, sottolineano, non esiste. Ma c’è una visione: lavorare insieme per raggiungere un obiettivo comune. «La concorrenza leale è stimolante – assicurano i tre ristoratori – perché ti spinge a migliorare, a dare sempre di più». Ed essere insieme è una forza: «I problemi di uno sono quelli di tutti, se si risolvono per uno anche gli altri ci guadagnano». L’associazione dei “Ristoratori reggiani” ha ben chiaro che la pandemia non è l’unico ostacolo da superare: «Il nostro settore ha criticità più antiche, basti pensare che il nostro contratto nazionale del lavoro è fermo agli anni ’70».

Le idee, comunque, non mancano: puntare sulla formazione (da qui una collaborazione strutturata con l’istituto alberghiero Motti) per avere lavoratori qualificati e pronti a entrare in cucina o in sala; creare eventi, sagre, fiere che possano portare clienti e anche rilanciare Reggio da un punto di vista turistico; facilitare alcune procedure burocratiche (come organizzare eventi con musica dal vivo).
«In Italia si è portati a pensare che la ristorazione sia qualcosa di semplice – riflettono Croci, Riccò e Gazzotti – al punto che in tanti, anzi tantissimi, quando non sanno cosa fare aprono un ristorante. Ma poi la maggior parte finisce male. Un locale è un’azienda. Per gestirlo servono una adeguata formazione e cultura, ovviamente esperienza».

La rivoluzione dell’associazione “Ristoratori reggiani” sta proprio nel voler condividere tutto questo, creando una sorta di identità comune: «Non è più “mors tua vita mea”, ma cerchiamo insieme di non morire...».
E così i ristoratori giovani, più portati a reinventarsi anche attraverso l’uso delle tecnologie, potranno aiutare i più vecchi. Quelli del capoluogo potranno fare da apripista per quelli che lavorano nei paesi più sperduti della provincia: «La nostra idea è quella, con il tempo, di arrivare a creare dei sottogruppi nella Bassa o in montagna ad esempio. Non vogliamo lasciare indietro nessuno, non sarebbe saggio».

Ve li immaginate 70-80 ristoratori che nel bel mezzo del lockdown, dopo essersi dedicati al giardinaggio, aver pulito il garage e fatto il pieno di famiglia, si trovano tutti in videochiamata a parlare di plexiglass, ionizzatore e colonnina di gel igienizzante? «Questa pandemia ci ha permesso di incontrarci. Ci sentivamo soli, poi abbiamo iniziato un percorso insieme. Ora siamo fiduciosi: il futuro fa meno paura». —