Il procuratore Musti vuole quattro ergastoli
La richiesta della pm al processo d’Appello per i delitti di ’ndrangheta di Nicola Vasapollo e Giuseppe Pino Ruggiero
Ambra Prati
REGGIO EMILIA. Ergastolo per tutti e quattro gli imputati – Nicolino Grande Aracri, Antonio Ciampà, Angelo Greco, Antonio Ciampà e Antonio Lerose –, ritenuti dalla Procura Generale colpevoli di omicidio aggravato dal metodo mafioso nell’Appello di Aemilia 1992, vittime Nicola Vasapollo a Pieve Modolena, a Reggio, e Giuseppe Pino Ruggiero a Brescello.
Con queste sfumature: ergastolo con isolamento diurno per tre anni a coloro che avrebbero commesso entrambi gli omicidi, cioè il boss Nicolino Grande Aracri e Ciampà, ergastolo con isolamento diurno per un anno per Greco e Lerose, accusati solo dell’omicidio Ruggiero.
Ha rispettato l’impostazione originaria ieri in Appello a Bologna la requisitoria dell’accusa, rappresentata dal procuratore generale Lucia Musti e dalla pm applicata Beatrice Ronchi, in quelle che sono le battute finali del procedimento sulla genesi dell’ascesa armata ’ndranghetista nella nostra provincia. Un’accusa agguerrita, che non ha lesinato critiche sulla sentenza di primo grado, parlando di “omessa valutazione da parte della Corte di Reggio Emilia” sulle dichiarazioni dei pentiti, molte delle quali nemmeno acquisite.
«È mancata una lettura ragionata delle propalazioni dei collaboratori di giustizia». L’udienza di ieri è iniziata alle 9.45 con la deposizione di Angelo Salvatore Cortese, il pentito risentito su una circostanza specifica: la Renault 19, l’auto di Lerose, secondo Cortese presente sul luogo del delitto.
Nicolino Sarcone, che la Procura ha chiesto di nuovo di interpellare, si è avvalso della facoltà di non rispondere: un suo diritto, essendo coimputato nel medesimo procedimento (Sarcone ha confessato i due omicidi ed è stato condannato in rito abbreviato a 30 anni). Alle 11.30 è iniziata l’attesa requisitoria dei due pm, durata due ore e mezza: sui dettagli Ronchi, sul quadro d’insieme Musti. Ronchi, principale promotrice della riesumazione dei cold case e del processo di primo grado conclusosi con una sconfitta (il 2 ottobre 2020 sono stati assolti tutti tranne il boss, condannato all’ergastolo come organizzatore per il solo delitto Ruggiero), si è focalizzata sulla dinamica e sui partecipanti.
Musti è andata all’attacco sul perno della sentenza assolutoria di primo grado: «Le asserite differenze tra il narrato dei due collaboratori di giustizia». Ad esempio Cortese indica come killer Greco e Lerose, mentre Valerio addita Carvelli e Greco. «Chi vi parla – spiega Musti – ritiene che le differenze nel racconto dei collaboratori siano tutt’altro che essenziali, riferendosi piuttosto a minuzie che non intaccano i molteplici elementi della tesi accusatoria (…). I giudici di prime cure – cioè i giudici reggiani, ai quali Musti lancia più di una stoccata – si sono dimenticati dell’acquisizione al fascicolo del dibattimento di numerosi interrogatori resi da Cortese e Valerio e, più in generale, non hanno utilizzato materiale probatorio ricco, coerente e completo».
Invero «i giudici di prime cure, tutte le volte in cui le differenze tra il narrato di Cortese e Valerio sono state ritenute insuperabili, sono giunti a una pronuncia assolutoria, ritenendo di non utilizzare nessuna delle due dichiarazioni», mentre per l’accusa «il Collegio avrebbe dovuto privilegiare le parole di Valerio. È Valerio ad avere ricordato correttamente e dunque Carvelli era presente la sera dell’omicidio Ruggiero. Valerio ha ribadito, con lo stile espositivo completo e chiaro che lo contraddistingue, il ruolo verticistico e decisorio di Nicolino Grande Aracri».
Alle prossima udienze del 22 e 23 settembre ha chiesto di intervenire con spontanee dichiarazioni Nicolino Grande Aracri, che ieri era in videocollegamento e che finora in questo procedimento è stato morigerato, poi prenderanno la parola le difese.
Ultima data calendarizzata, con probabile sentenza, il 30 settembre.
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