Da Reggio a Dubai: l’ex studente ora aiuta le imprese a custodire Bitcoin

Jacopo Della Porta
Da Reggio a Dubai: l’ex studente ora aiuta le imprese a custodire Bitcoin

Argentieri a 17 anni usava le criptovalute per i videogiochi Adesso offre servizi alle imprese che investono nel settore

12 gennaio 2022
4 MINUTI DI LETTURA





REGGIO EMILIA. «I miei primi Bitcoin li ho comprati a 17 anni e li ho usati per acquistare videogiochi su Steam. Mi collegavo alla piattaforma con l’indirizzo IP russo e così spendevo meno. Se avessi usato una carta di credito, la piattaforma avrebbe riconosciuto che sono italiano e sarei stato reindirizzato: dunque non avrei potuto fare questo “giochino” per risparmiare». Marco Argentieri, imprenditore ventisettenne nel settore delle criptovalute, racconta così la prima volta in cui assaporò il gusto della “libertà finanziaria”, per usare un’espressione cara ai sostenitori del Bitcoin.

La passione per questa moneta digitale è nata quando il giovane era studente al Bus, indirizzo informatico, di Reggio Emilia. «Me ne parlò un professore quando avevo 17 anni e subito mi appassionai all’argomento».

A Reggio Argentieri è noto per aver fondato nel 2014, quando era diciannovenne, Reggiobit, piattaforma utilizzata per comprare e vendere Bitcoin in contanti. Chi vuole acquistare o vendere deve inserire il quantitativo desiderato e poi attendere di essere contattato da un operatore. Dunque si tratta di una modalità diversa da quelle che prevedono di rivolgersi a un intermediario (e questo assicura, tra l’altro, maggiore discrezione per domanda e offerta). Sempre nel 2014, Argentieri convinse il titolare di un negozio d’abbigliamento di vicolo del Folletto a installare il primo bancomat reggiano per acquistare Bitcoin.

Dopo questi primi passi a Reggio Emilia, l’ex studente del Bus ha fatto della sua passione un lavoro a tempo pieno.

Nel 2017 Argentieri ha fondato con un altro socio “Vulpem Ventures”, società con sede legale in Estonia, che si occupa di fornire servizi alle aziende per la custodia dei Bitcoin.

Oggi nella società lavorano sei ingegneri informatici a tempo pieno, più alcuni collaboratori.

[[atex:gelocal:gazzetta-di-reggio:site:1.41119023:gele.Finegil.Image2014v1:https://www.gazzettadireggio.it/image/contentid/policy:1.41119023:1654777332/image/image.jpg?f=detail_558&h=720&w=1280&$p$f$h$w=d5eb06a]]

Il ventisettenne vive a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, un centro finanziario di primaria importanza. «Non abbiamo una sede fisica, in sintonia con la filosofia decentrata del Bitcoin – spiega –. Anche prima della pandemia avevamo sposato la filosofia del lavoro da remoto. Una volta all’anno, invece, ci incontriamo per una settimana».

Argentieri guarda al Bitcoin come a una riserva di valore più che a uno strumento speculativo. «Stiamo parlando dell’infrastruttura monetaria più conservativa della storia dell’umanità perché è un sistema inelastico rispetto alla domanda. Il numero di Bitcoin non può essere aumentato rispetto a una determinata quantità: attualmente sono quasi 19 milioni e diventeranno circa 21 nel 2140, anno in cui terminerà l’attività di estrazione (mining). Questo significa che non è un bene soggetto a inflazione, non è come un bond governativo di cui se ne possono stampare molti se aumenta la domanda».

Eppure, oggi le criptovalute sono anche uno strumento di speculazione, soggette a forti oscillazioni del prezzo (come sta accadendo in questi giorni) e pertanto puntualmente sono al centro di allarmi delle autorità di vigilanza. «L’oscillazione del prezzo deriva dal fatto che quello del Bitcoin è un mercato relativamente piccolo ed effettivamente alcuni vedono le criptovalute prima di tutto come uno strumento di speculazione».

I sostenitori del Bitcoin sono affascinati dal concetto di sovranità individuale. «Le banche in quanto tali continueranno ad esistere, perché offrono servizi di cui c’è bisogno. Il Bitcoin rappresenta però un sistema alternativo alle banche centrali, il cui scopo è quello di emettere e regolare la moneta. Le criptovalute sono un sistema parallelo. Personalmente vedo questo ecosistema come qualcosa di inclusivo, che consente a chiunque, da qualsiasi luogo, di potervi accedere, senza chiedere il permesso a nessuno. Vedo una similitudine con internet, che ha tolto le barriere alla comunicazione».

“Vulpem Ventures”, che sul suo sito definisce il Bitcoin come uno strumento di libertà finanziaria ed “economic empowerment”, vende servizi a banche, hedge fund e trading desk. I clienti della società hanno investito in Bitcoin una cifra stimata in oltre 300milioni di dollari. «Negli ultimi due o tre anni ci siamo specializzati in soluzioni per custodire i Bitcoin, il classico portafoglio (wallet). Non agiamo come banche e non custodiamo nulla: creiamo invece strumenti che consentono ai clienti di essere indipendenti nella gestione. Molte aziende stanno puntando su questa valuta digitale per tutelarsi dall’inflazione e vi investono parte della loro liquidità».

Il tema della custodia dei Bitcoin è cruciale, come dimostrano alcuni casi di cronaca di investitori che hanno perso milioni di dollari per aver gettato via erroneamente il disco rigido dei loro pc.