Gazzetta di Reggio

Reggio

Le donne ucraine a Reggio Emilia: «Il conflitto c’è da otto anni, la tensione per le strade è diventata un’abitudine»

Leonardo Grilli
Le donne ucraine a Reggio Emilia: «Il conflitto c’è da otto anni, la tensione per le strade è diventata un’abitudine»

Il racconto di due donne rappresentanti della numerosa comunità ucraina di Reggio Emilia: «Vicino alle pubblicità delle automobili, ora si trovano anche le fotografie dei soldati uccisi»

3 MINUTI DI LETTURA





REGGIO EMILIA. La prima ha 26 anni, è nata qui e vive a Gualtieri, è laureanda in Editoria e giornalismo, si occupa di formazione sulla cittadinanza italiana e collabora con una trasmissione televisiva che fa contenuti rieducativi per persone detenute. La seconda ha 64 anni, è arrivata a Reggio Emilia 21 anni fa e lavora come donna delle pulizie per una famiglia. Si chiamano rispettivamente Diana Bota e Kseniya Makar e, pur facendo parte di due generazioni profondamente diverse, hanno in realtà molto in comune: entrambe fanno parte dell’Associazione dei volontari ucraini in Italia, una delle principali attive nella nostra provincia, e da anni sono attive per la promozione della pace nel loro Paese di origine.

«A Reggio – racconta Diana – vive un’importante comunità ucraina di cui c’è una piccola rappresentanza già nel centro storico, una chiesa greco-cattolica in San Giorgio, in via Farini, e una comunità più “internazionale” seguita da un parroco ucraino in San Zenone. Dopo un primo momento in cui l’immigrazione era prettamente femminile, hanno cominciato a venire in Italia le famiglie, sono nate e cresciute qui in Italia le cosiddette “seconde generazioni” appartenenti alla comunità ucraina, persone italiane che qui hanno vissuto gran parte della propria vita. Io faccio proprio parte di queste “seconde generazioni”. Il conflitto in atto coinvolge dunque le nostre famiglie che vivono in Ucraina, ma le coinvolge ormai dal 2014».

Tanto che, prosegue la studentessa, «conosco donne i cui figli a Luhans’k (città dell’Ucraina sud-orientale e capitale dell’omonima autoproclamata Repubblica separatista filorussa, ndr) sono stati costretti a mobilitarsi a combattere dai separatisti. Donne che hanno appena fatto in tempo a ricostruire case bombardate nel 2014. Persone costrette a trasferirsi dalle proprie città di origine, chiedendo rifugio interno in Ucraina». La guerra, oggi, «si respira sui manifesti per le strade, dove vicino alle pubblicità delle macchine si trovano anche foto di soldati uccisi. L’Ucraina è uno Stato che per 30 anni ha cercato di stabilizzarsi nella propria indipendenza cercando un po’ di democrazia, dovendo già far fronte a un sistema fortemente corrotto. L’unico modo per il mio Paese d’origine di acquistare per davvero stabilità è lasciarlo vivere in modo indipendente, senza giochetti da parte del governo russo che continua il suo processo di colonizzazione anche in Bielorussia, Moldova, Georgia, Cecenia, Azerbaijan, Armenia e in altri Paesi chiamati “post-sovietici”. Appunto, “post”. È ora di lasciarli al proprio sviluppo. Basta giocare alla guerra fredda».

La popolazione ucraina, racconta Diana, «così come la comunità ucraina a Reggio, è in tensione ma è anche abituata. La guerra diventa un’abitudine e già lo si nota quando i media dopo un po’ spengono i riflettori fino a che i fatti non diventano eclatanti. La guerra diventa abitudine quando ogni giorno si strumentalizza, quando su di essa si fanno talk show e si fa il tifo. Allora significa che alla guerra siamo abituati anche qui in Italia e non ci importa più se non quando iniziamo a fare i conti nelle nostre tasche perché chissà quanto costerà il gas. E quando alla guerra ci si abitua, la pace ci mette molto di più ad arrivare. L’Occidente deve prendersi la responsabilità di tutte le volte in cui ha chiuso gli occhi davanti alle violenze della Russia e per tutte le volte che vi ha contribuito».

Comprensibilmente dure anche le parole di Kseniya, che ribadisce come siano «otto anni che siamo in guerra, otto anni in cui sono morti già 14mila soldati. Giovani, ragazzi, padri di famiglia. Siamo stanchi ma non venite a dire al popolo ucraino che deve fare la pace con Putin, l’avevamo già fatto e non è cambiato nulla, sabato parteciperemo alla manifestazione per la pace con gli stessi manifesti che avevamo utilizzato già nel 2014. L’occidente abbia il coraggio di promuovere contro la Russia sanzioni davvero dure».