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Profughi, sempre meno arrivi: ora c'è chi riparte per l'Ucraina

Gabriele Farina
Profughi, sempre meno arrivi: ora c'è chi riparte per l'Ucraina

Le coop l'Ovile e Dimora d'Ambramo: "Tanti ci dicono grazie"

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Reggio Emilia La normalità sarà una sofferta riconquista. L’ospitalità ricevuta sarà difficile da dimenticare.

A quasi tre mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, l’Emilia Romagna fa segnare un netto calo dei profughi dal Paese.

La Cabina di regia emiliano-romagnola per l’assistenza ai profughi registra 24.822 arrivi da Piacenza a Rimini. Nel territorio reggiano, i profughi arrivati sono – al 13 aprile scorso – 2.954: 152 uomini, 1.420 donne, 1.382 minori. Le persone ospitate nei centri di accoglienza straordinaria, guidati dalle cooperative Dimora d’Abramo e L’Ovile, sono 339.

Sono le stesse cooperative a fotografare la lenta inversione di tendenza: meno arrivi dall’Ucraina, più partenze verso la patria o verso Paesi più vicini a Kiev e dintorni.

«Registriamo ancora qualche arrivo – interviene Valerio Maramotti, presidente della cooperativa L’Ovile –, ma i numeri sono veramente molto bassi. D’altra parte, qualche famiglia, soprattutto residente nelle città considerate più sicure in Ucraina o che sono state liberate dai russi, hanno deciso di rientrare. Sono soprattutto donne e bambini: i padri e i mariti sono in Ucraina».

Ogni persona che riparte è spinta da diversi sentimenti. Si può tuttavia identificare un tratto comune a molte storie: il desiderio di ricercare e se possibile riabbracciare i propri cari. Le ripartenze sono alla spicciolata: non si può ancora parlare di “esodo”.

«Sarà ripartita una decina di persone – stima il presidente – mentre nelle ultime due settimane ne sono arrivate sei». Maramotti ricorda con soddisfazione i saluti di chi lascia il territorio di Reggio Emilia con la speranza di poter fare presto ritorno alle proprie case.

«Avvisano gli educatori di riferimento – spiega il presidente – e comunicano la decisione di tornare a casa. I comportamenti sono sempre stati estremamente corretti. Abbiamo riscontrato una grande collaborazione e molta gratitudine».

Il sentimento è reciproco e Maramotti non nasconde la soddisfazione per come la cooperativa continua a gestire l’accoglienza. «Abbiamo risposto a un bisogno – aggiunge il presidente – che è cambiato e diminuito nell’ultimo periodo. Siamo molto contenti».

Tratteggia un quadro simile Laura Prandi, vicepresidente della cooperativa Dimora D’Abramo. «Tra metà marzo e metà aprile circa avevamo l’ingresso di una decina di persone al giorno all’Ucraina – interviene Prandi –. Da metà aprile ad adesso il numero è molto diminuito. Sono quasi tutte donne con minori. Possiamo dire che arriva un nucleo familiare ogni due o tre giorni».

Maggiore prudenza adopera la vicepresidente per descrivere i rientri dall’Italia. «Abbiamo ricevuto voci di persone che rientravano nei Paesi limitrofi come la Polonia e la Romania – rivela Prandi – e talvolta in Ucraina. Non abbiamo però una verifica concreta».

Resta un dato di fatto: «gli ingressi sono diminuiti nell’ultimo mese». Le mosse internazionali dalla diplomazia al campo di battaglia non consentono previsioni sul lungo termine. «Non sappiamo se la diminuzione degli arrivi possa preludere a una nuova ondata», ricorda la vicepresidente.

Gli ostacoli restano sia in chi torna indietro con la speranza nel cuore di ricominciare a vivere in patria sia in coloro che ancora rimangono sul suolo provinciale reggiano.

«Sono persone provenienti da un conflitto – ribadisce Prandi – e da situazioni di partenza molto spesso diverse rispetto ad altre ondate di persone straniere in Italia. Molti non vivevano in condizioni di povertà socio-economica in Ucraina».

La lingua è spesso un problema. «Non pensano di trasferirsi definitivamente – descrive Prandi – e incontrano molte difficoltà linguistiche, per cui occorre altrettanta mediazione linguistico-culturale Conoscono l’ucraino e talvolta il russo. La comunicazione diventa un po’ più complessa».

Tanti i motivi per cui hanno scelto Reggio Emilia. «Alcuni hanno parenti e conoscenti in Italia – conclude la vicepresidente –, magari perché erano emigrati in altri periodi e si sono inseriti sul territorio italiano. Molti avevano contatti sul territorio con parenti che lavorano già, soprattutto nell’assistenza. Altri sono entrati in contatto grazie comunità e associazioni ucraine. C’è anche chi è partito senza conoscere nessuno. Nei tre quarti dei casi sono madri con i nonni e i bambini piccoli».l

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