Gazzetta di Reggio

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Quindicenne violentata: tre coetanei a giudizio

Ambra Prati
Quindicenne violentata: tre coetanei a giudizio

Festa alcolica in casa, la ragazza accusò il compagno di classe. Ora incriminati gli altri due coetanei: per il pm dicono il falso

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Reggio Emilia Rinviati a giudizio tutti e tre, con la medesima accusa: violenza sessuale aggravata (due le aggravanti, per aver abusato della minorata difesa dovuta all’ebbrezza e per l’età della vittima, minore di 18 anni). Clamorosa svolta nel caso – dall’eco nazionale, con tanto di dichiarazioni del sindaco Luca Vecchi, di dibattiti sulle giovani generazioni allo sbando e di interventi di noti psichiatri come Paolo Crepet – della quindicenne violentata da tre compagni di classe coetanei, durante una mattinata in casa trascesa, complice l’abuso di alcol, in stupro del branco.
Nell’immediatezza dei fatti un solo ragazzo, il padrone di casa, era stato arrestato e messo ai domiciliari dove si trova tuttora, mentre gli altri due presenti nell’appartamento, che hanno sempre negato, sono stati indagati a piede libero.
Ora, dopo mesi di complesse e delicate indagini svolte dai carabinieri di Reggio Emilia, il pm Alessandra Serra della Procura dei Minorenni di Bologna ha rinviato a giudizio il trio in concorso: il decreto di giudizio immediato fissa l’avvio del processo per il 13 luglio.
Il capo d’imputazione fotocopia precisa gli addebiti dei singoli, che «costringevano la minore» a un rapporto sessuale completo (il padrone di casa) e ad atti sessuali e baci (il secondo e il terzo).
I fatti risalgono a venerdì 28 gennaio quando un gruppo di studenti di un istituto superiore cittadino (tre maschi e due femmine della stessa classe), complice uno sciopero, decidono di riunirsi nell’appartamento a ridosso del centro della madre di uno di loro: il programma innocente – confermato in modo unanime – è giocare alla play station e fare un giro ai Petali. Le ore nell’appartamento scorrono lente, perfino un po’ noiose, fino alla malaugurata idea di andare a comprare da bere: una bottiglia di vino e una di vodka alla pesca, acquistate in un market etnico delle vicinanze (che in seguito è stato chiuso per dieci giorni per aver venduto alcol a minori).
Le due ragazze e il terzo studente bevono, il padrone di casa e il secondo coetaneo no. A una certa ora l’altra ragazza se ne va a casa; il proprietario la accompagna alla fermata del bus, poi rientra. La quindicenne – al limite del coma etilico, come verrà riscontrato in seguito al pronto soccorso – rimane da sola con i tre maschi. E qui le versioni dei presenti divergono. L’unica cosa certa è che verso le 14 arriva una telefonata al 113: «Venite, mia sorella è stata stuprata». La sorella maggiore, dopo diverse richieste di aiuto a intermittenza, una volta capito dove si trovasse la quindicenne è andata a prenderla e l’ha trovata in strada, in lacrime, sotto choc, con gli slip legati all’elastico dei pantaloni. I carabinieri, saliti nell’appartamento indicato, trovano la porta aperta e nessuno all’interno; il padrone di casa (unico rimasto) viene rintracciato impaurito sul retro della palazzina, al telefono con il padre. La quindicenne, dopo la visita in ospedale, viene portata in caserma, dove dichiara di aver avuto rapporti con tutti e tre ma di ricordarsi solo l’ultimo, appunto il padrone di casa: «Era nudo sopra il mio corpo, ero priva di forze, mi ha provocato dolore». Lo studente, per aver consumato la violenza da sobrio, viene incriminato «in quasi flagranza» e da allora è rimasto ai domiciliari; il suo avvocato, Giacomo Fornaciari, non ha mai chiesto misure alternative. Il secondo subisce una perquisizione domiciliare e un interrogatorio, ma a renderlo sospetto sono i messaggi che scambia con il primo, mentre quest’ultimo è ancora in casa con la ragazza («Mandala via», «falla uscire», «ma è ancora ubriaca? Fai qualcosa») e poi in caserma («sta dicendo da mezz’ora che l’abbiamo stuprata», «Siamo nella merda fino al collo» è la risposta). Il secondo, difeso dagli avvocati Simona Magnani e Giulio Cesare Bonazzi, in seguito incontra i giornalisti insieme a genitori: «Non c’entro e non ho visto niente. Ero sul terrazzo, chiuso fuori per un quarto d’ora». Stessa versione per il terzo, interrogato per ultimo, difeso dall’avvocato Liborio Cataliotti.
I carabinieri hanno bloccato i profili social dei tre, hanno sequestrato e fatto analizzare cellulari e computer; una perizia allegata agli atti. Ma è stato fondamentale il metodo investigativo classico: partendo dagli interrogatori separati dei quindicenni i militari hanno incrociato le dichiarazioni, nient’affatto concordi. Contraddizioni palesi e versioni non collimanti – sommate ai dialoghi via WhatsApp – hanno convinto l’accusa che gli altri due abbiano mentito e siano stati compartecipi: da qui l’incriminazione.
Due legali su tre hanno già chiesto il rito abbreviato.
«Il mio assistito ha detto la verità, ha collaborato con gli inquirenti e ha scelto di finire la scuola a distanza – ha commentato l’avvocato Fornaciari –. Prendo atto che il giudice ha ritenuto tutti imputabili».