L’Irccs di Reggio Emilia sotto esame ha anche concorrenza
Dietro i tagli paventati dal ministero uno scontro tra Roma e le Regioni. Da Bologna i veri rischi per il Santa Maria Nuova
Reggio Emilia Il 31 luglio, per la sanità reggiana non è mai una data qualunque. Non da undici anni a questa parte, almeno. Ogni due anni, infatti, entro quella data l’Irccs Azienda ospedaliera Santa Maria Nuova deve rendere noti i propri risultati nell’ambito della ricerca scientifica, e questo, al fine di ricevere il via libera ad altri due anni di attività.
Finora, l’Irccs reggiano ha superato senza problemi tutte le verifiche. Verifiche che - giova ricordarlo - culminano sempre con una site visit, ovvero con una sorta di ispezione dei funzionari del ministero, deputati a verificare “sul campo”. E le verifiche, sinora, per l’Irccs Santa Maria Nuova sono sempre andate egregiamente.
Tuttavia, stavolta si stenta a trovare ottimismo e non tanto perché in questi ultimi due anni, l’Istituto nato nel 2011 non abbia ottenuto i risultati sperati, anzi. Pur nell’era della peggiore pandemia, all’Irccs di Reggio Emilia nessuno è rimasto con le mani in mano. Anzi: il sistema ha retto all’emergenza Covid senza intaccare una macchina – quella della ricerca nel campo della lotta ai tumori – che non può concedersi pause. Eppure il barometro non segna bello stabile per quello che è uno dei fiori all’occhiello della nostra provincia. A far apparire le prime nubi sull’Irccs reggiano è stato nelle scorse settimane il sottosegretario alla salute Andrea Costa sottolineando come a fronte di stanziamenti ancora una volta in calo, le regioni dovranno, nei prossimi mesi, cercare di mettersi a dieta, magari arrivando a ridurre il numero degli Irccs sul territorio.
Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sono enti ospedalieri che mettono insieme l’assistenza sul territorio in cui sorgono e la ricerca ai livelli più avanzati. Una sorta di mediazione tra un policlinico universitario e un ospedale “generalista”, una “terza via” che il Santa Maria Nuova scelse di imboccare nel lontano 2011, quando la politica temeva che l’arcispedale Santa Maria Nuova corresse il rischio di essere colonizzato dalle vicine facoltà di Medicina di Modena e Parma. Il paradosso, undici anni dopo è dato dal fatto che potrebbero essere proprio le università a preservare l’Irccs reggiano. Ma andiamo con ordine.
TROPPI IRCCS?
«Troppi Irccs – ha tuonato come in un temporale estivo il sottosegretario – e la torta è sempre la stessa. Quindi il rischio è quello di doversi accontentare di fette (finanziamenti, ndr) sempre più piccole».
In Italia, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sono in tutto 52. Del loro operato rispondono sia alle Regioni sia al Ministero, che con apposite commissioni valuta periodicamente l’attività delle diverse realtà concedendo o negando l’accreditamento, ovvero la possibilità di accedere a bandi per la ricerca a livello nazionale e internazionale.
Cinquantadue Irccs lungo tutto lo Stivale. Sono tanti? Sono pochi? Sono in un numero congruo? Si capisce così che oggi, a maggior ragione dopo la caduta del Governo Draghi e le imminenti elezioni politiche, il tema è di quelli che possono deflagrare in campagna elettorale. Non a caso, all’indomani del vaticinio di Costa, la politica locale, come chi si sveglia di soprassalto, si è subito messa di traverso di fronte a qualunque taglio al nostro modello di sanità pubblica. E visti i tagli selvaggi operati per decenni, vista la deriva verso forme sempre più spregiudicate di sanità privata, fa già ridere così.
Invero, quali rischi corre realmente l’Irccs reggiano? Nell’immediato, nessuno. Sia per i tempi di queste procedure (tra l’invio della documentazione e la site-visit passano in genere mesi), che peraltro con la caduta dell’esecutivo rischiano di allungarsi ulteriormente.
IL CONFLITTO
E allora? Che cos’è questa storia degli Irccs che sono troppi? Una polemica estiva senza futuro, giusto il pretesto per consentire a qualche candidato di spendersi per scongiurare, combattere, promettere e via di infiniti elettorali?
Non proprio. Qualcosa di vero, che oggi potrebbe non far dormire sonni tranquilli a chi ha il timone della sanità reggiana, in questa polemica estiva, effettivamente, c’è. E in parte è da ricercare in un conflitto carsico ma mai sopito tra potere centrale e poteri decentrati, ovvero tra le Regioni e il ministero. Non è un mistero che, a Roma, la nascita dell’Irccs a Reggio Emilia – torniamo agli albori, al 2011 – sia sempre stata vista come un dito ficcato in un occhio. Ecco perché ora – in un clima non idilliaco tra Roma e la periferia – potrebbe riacutizzarsi il conflitto. Un conflitto in cui potrebbero alla fine esserci vittime da sacrificare. Reggio Emilia rischia? Se guardiamo a quello che è stato fatto sin qui, la tentazione di essere ottimisti è concreta. Ma non esiste solo Reggio. O meglio: la crescita degli Irccs – al netto di come la si pensi su pochi o tanti– poteva essere gestita meglio. Anche in Emilia Romagna, dove ad esempio agli Irccs si è arrivati molti anni dopo la Lombardia. Attualmente gli Irccs riconosciuti a livello nazionale in Emilia Romagna sono cinque, quattro pubblici e uno privato.
Il più antico di tutti è il Rizzoli di Bologna. Da prima del 1981 – anno in cui è diventato Irccs – si occupa di rimettere in piedi, letteralmente, le persone. Poi, fino al 2011, in Emilia Romagna non sorgeranno più Irccs. Toccherà proprio al Santa Maria Nuova riaprire la stagione degli Irccs, con un istituto a vocazione oncologica. Per la precisione si tratta di un istituto specializzato in tecnologie avanzate e modelli assistenziali in Oncologia. La sua forza, fin da subito, fu nelle tecnologie, negli investimenti di assoluto valore su cui si decise in Regione. Non solo: il Santa Maria, proprio negli anni in cui si lavorava a una sempre maggiore integrazione tra le due aziende, la territoriale Ausl e l’Ospedaliera Santa Maria Nuova, era in grado di integrare l’offerta dell’Irccs con i servizi sul territorio, dall’assistenza domiciliare fino al non secondario registro dei tumori. Tutti elementi che rendono l’Irccs reggiano unico nel suo genere.
RISCHIO DOPPIONI
Ecco uno dei motivi di preoccupazione legato ai venti di tagli che spirano è legato proprio al fatto che dei 5 Irccs esistenti in Emilia Romagna, tre si occupano di oncologia: perché oltre all’Irccs di Reggio, c’è quello, privato, di Meldola (Forlì-Cesena), autorizzato un paio d’anni dopo quello di Reggio e quello del Sant’Orsola Malpighi di Bologna. L’Irccs bolognese è stato autorizzato soltanto l’anno scorso. Una ulteriore “tacca” sul cinturone di un colosso da 1500 posti letto, già policlinico universitario e ora anche Irccs. Il Sant’Orsola è un colosso, Meldola serve alla Romagna. E Reggio a questo punto rischia? Difficile dirlo: la rete diffusa dei servizi e le tecnologie sono ancora armi pesanti. Ma possono bastare?
Qualcuno in ambiente sanitario reggiano sottolinea la necessità di giocare la carta di una eccellenza riconosciuta a livello nazionale come quello della ricerca in ambito reumatologico guidata da Carlo Salvarani, autentica autorità nel campo dello studio delle infiammazioni – anche di quelle che nascondono tumori – e delle malattie autoimmuni. Le ricerche targate Reggio, in questo ambito, non mancano e potrebbero costituire il jolly che fa vincere al nostro Irccs questa mano decisiva per il proprio futuro. Magari con una alleanza – ecco il paradosso – con l’Università di Modena con cui, negli anni, si sono allacciate buone relazioni.
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