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Mautone: «Illuminante lavorare alla Dia. Ho visto l’altra faccia delle cosche»

Ambra Prati

	Il tenente colonnello dei carabinieri Aniello Mautone in visita nella redazione della Gazzetta di Reggio
Il tenente colonnello dei carabinieri Aniello Mautone in visita nella redazione della Gazzetta di Reggio

Il tenente colonnello dell’Arma nella sede della Gazzetta

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Reggio Emilia «La Dia ha rappresentato un osservatorio privilegiato sulla faccia economica della criminalità organizzata e su come può essere insidiosa per un territorio». Il tenente colonnello Aniello Mautone, 53 anni, dal 18 luglio scorso guida il Reparto Operativo dei carabinieri di Reggio Emilia. Un settore cardine dell’Arma, che conta una quarantina di militari suddivisi nelle due “anime”: il Nucleo Investigativo e il Nucleo Informativo.

Colonnello, conosce la realtà emiliana?
«Sì. Primo perché, sebbene mi consideri originario di Roma, sono modenese d’adozione: lì abito con la famiglia. E poi perché ho prestato servizio a Parma (quando è scoppiato il caso Parmalat) e a Modena, molto simili a Reggio».

Un caso che l’ha colpita particolarmente?
«Mi sono occupato di tante indagini, ma quella che mi ha segnato di più dal punto di vista umano è stato il caso di Tommaso Onofri (il piccolo Tommy, rapito da Casalbaroncolo e ucciso sulle rive dell’Enza nel 2006, ndr). Le ricerche durarono più di un mese. Il sequestro di persona è di per sé uno dei delitti più infami, ma quando la vittima ha diciotto mesi...».

Lei è considerato un esperto di criminalità. Il suo ultimo incarico è stato alla Dia: cosa ha imparato?
«Un’esperienza illuminante. Alla Direzione investigativa antimafia di Bologna ho trascorso cinque anni. Per me ha rappresentato il rovescio della medaglia. Quando ero comandante dei carabinieri a Giugliano (Napoli) ho toccato con mano cosa significhi la criminalità nelle zone d’origine. Alla Dia ho assistito al fenomeno di derivazione: un secondo livello, come la liquidità delle cosche viene riciclata per creare sempre nuova ricchezza. Mi sono occupato della misure di prevenzione (ora diventata confisca) di Antonio Muto classe ’55, oltre che di Gaetano Blasco, Alfonso Diletto, Giuseppe Brescia, Sarcone».

Un bagaglio che sarà utile nel Reggiano?
«Dovrò ricalibrare quell’esperienza. Nell’incarico attuale mi occuperò di questioni macro e micro: dalla ’ndrangheta ai reati predatori. La nostra attività spazia su tutta la provincia e dobbiamo essere una sintesi dei reparti. Saremo impegnati soprattutto a garantire la sicurezza dei cittadini e a rispondere alle loro esigenze. Non amo i proclami, meglio i fatti quotidiani».

In eredità è rimasto il caso Saman...
«La priorità era e resta quella di trovare e dare sepoltura al corpo della ragazza».


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