Gazzetta di Reggio

Reggio

Reggio Emilia

«Comunque sia morta lei viveva un incubo»

Alice Benatti
«Comunque sia morta lei viveva un incubo»

Marwa Mahmoud (Pd): «Se si scoprirà che è stata uccisa allora non si è fatto abbastanza. Che la sua anima trovi pace»

11 agosto 2022
3 MINUTI DI LETTURA





Reggio Emilia C’è ancora sgomento in città per la morte di Khadija El Jarmouni, l’operatrice sanitaria 36enne, mamma di due figlie, la più piccola di cinque anni e mezzo, l’altra appena maggiorenne, trovata senza vita in circostanze misteriose lunedì mattina nella cantina di casa, al numero civico 8 di via Cassala, nel quartiere Santa Croce.

«Conosco la sua famiglia, persone squisite che vivono a Reggio Emilia da tantissimi anni. Hanno figli piccoli, frequentano le strutture della città: sono parte del tessuto sociale reggiano. Mi si è gelato il sangue quando ho scoperto della morte di una mia coetanea. Che si sia tolta la vita o sia stata uccisa è chiaro che stava vivendo un incubo. Ora aspettiamo l’esito delle indagini».

A parlare è Marwa Mahmoud, consigliera comunale Pd e presidente della commissione consiliare “Diritti umani, pari opportunità, relazioni internazionali”.

«Nell’attesa che emergano maggior informazioni rispetto al lavoro degli inquirenti è ovvio che un accadimento simile sul nostro territorio lascia esterrefatti e sbigottiti – commenta Mahmoud –. Dalle testimonianze dei famigliari emerge che si sentiva in pericolo, costantemente minacciata, tanto da farsi accompagnare sul luogo di lavoro da una collega. Non ci può essere autonomia e autodeterminazione in condizioni di vita simili, che sono le stesse che vivono tante donne nella morsa di uomini violenti».

«Il fatto che fosse arrivata a denunciare più volte l’ormai ex compagno, che avesse inviato il suo Sos – continua la consigliera – racconta che aveva ultimato un percorso di consapevolezza importante. Sicuramente, in generale, ci sarebbe molto da dire rispetto alle misure che bisognerebbe prendere quando arrivano queste denunce. Finché le istituzioni e le forze dell’ordine non saranno messe nella condizione di tutelare al meglio le vittime ciascuno farà il possibile, che però potrebbe non essere abbastanza. Se si scoprirà che è stata uccisa allora per lei non si è fatto abbastanza per prevenire quell’escalation di violenza, dato che non è più fra noi. ll mio augurio è la sua anima possa trovare pace».

Khadija El Jarmouni – come ha raccontato alla Gazzetta suo cognato, Mohamed Raffisi – da tempo era minacciata dal marito, un connazionale da cui si stava separando nonché padre della figlia più piccola.

Appostamenti sotto casa, messaggi intimidatori, persino una minaccia con un grosso coltello che mesi fa l’aveva portata a lasciare Cervignano del Friuli per trasferirsi con la bambina a Reggio nella casa famigliare.

«Aveva denunciato decine di volte», assicurano i famigliari. Non solo: aveva chiesto aiuto anche alla Casa delle Donne delle Reggio Emilia, che per il momento preferisce non commentare. Non è ancora chiaro tuttavia se fosse stata applicata una misura cautelare nei confronti di quest’uomo né se il giorno del decesso della moglie fosse a Reggio Emilia. Una vicina dice di averlo visto sabato ma per gli investigatori sembrerebbe invece che non si trovasse in città.

Il rinvenimento di topicida accanto al cadavere fa propendere la polizia, coordinata dalla pm Piera Giannusa, per un atto volontario. Lo stesso magistrato ha chiesto al medico legale una perizia tossicologica per capire se Khadija El Jarmouni abbia o meno assunto sostanze che possono aver causato il suo decesso nella cantina di casa, che era chiusa dall’interno.

Spetterà solo all’autopsia, prevista proprio in questi giorni all’istituto di medicina legale di Modena, stabilire con certezza qual’è stata la vera causa della morte della giovane mamma 36enne.