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«Genitori, controllate i vostri figli online. La privacy a 12 e 13 anni non esiste»

Alice Benatti
«Genitori, controllate i vostri figli online. La privacy a 12 e 13 anni non esiste»

I consigli della polizia postale per la navigazione online sicura dei bambini

07 dicembre 2022
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Reggio Emilia Adescamento online, revenge porn e condivisione di contenuti pedopornografici su chat di classe, spesso fatta “per gioco”, in modo inconsapevole, o per aumentare il protagonismo nel gruppo di pari. Sono questi i tre reati riguardanti i minorenni che sul nostro territorio preoccupano maggiormente la polizia postale o meglio la sezione operativa di Reggio Emilia per la sicurezza cibernetica, per usare il nome che ha assunto di recente. La rete è piena di insidie e bambini e ragazzi lo sanno bene (così come i loro genitori e insegnanti): come tutelarsi, dunque, dai rischi che si nascondono dietro uno smartphone, un tablet o un pc? Dal 2006 (quando ancora non esistevano i social network) a Reggio la polizia postale scommette sulla prevenzione andando nelle scuole – anche quest’anno scolastico sono previsti tredici incontri in altrettanti istituti della provincia – in mezzo a bambini e ragazzi dagli 11 ai 16 anni.

«Siamo convinti che questa prevenzione dia i suoi risultati» sottolinea Luigi Quaglio, responsabile della sezione di Reggio di cui fanno parte sei agenti, numero che raddoppierà da qui al 2027 nell’ambito del rafforzamento dell’organico della polizia di Stato. «Tanti ragazzi che abbiamo incontrato, che oggi magari sono all’università, dopo anni ci ringraziano perché non sono caduti nei pericoli della rete».

Certo questo lavoro è fondamentale ma la sfida a tenere bambini e ragazzi al sicuro mentre trascorrono il loro tempo sul web non può fare a meno della parte che possono e devono giocare i genitori. Proprio partendo da questo presupposto Alessandra Belardini, dirigente del centro operativo per la sicurezza cibernetica di Bologna, ha diversi consigli pratici per chi ha figli che cominciano ora a popolare il web o lo fanno già da qualche anno. Per loro, però, prima di tutto ha parole di incoraggiamento: «Basta immaginare che tutto sia così difficile da non poter essere sostenuto con la buona volontà. Non dovete essere ingegneri informatici: sul web ci sono tutte le informazioni in grado di aiutarvi».

Una buona informazione, dunque, è il primo passo. Ma poi vigilare l’attività online dei figli è d’obbligo, quando si tratta di minori. «A otto, nove, dieci anni non si chiede al figlio cosa fa ma si usa direttamente il parental control» spiega Belardini riferendosi al cosiddetto “filtro famiglia”, cioè a quel sistema che una volta attivato sul dispositivo elettronico permette al genitore di monitorare o bloccare l'accesso a determinate attività da parte del bambino, di vedere la cronologia degli accessi che ha effettuato durante la navigazione e di limitare il tempo di utilizzo dello smarphone, tablet o pc. Tuttavia, quando si parla di bambini così piccoli, «possibilmente il tempo trascorso online deve comunque avvenire alla presenza di un adulto».

«Dai 12 ai 14 anni non si può usare il parental control perché i ragazzi cominciano a crescere – continua la dirigente del centro operativo per la sicurezza cibernetica di Bologna – ma a quel punto deve scattare la famosa “lampadina”: la privacy non esiste a 12 come a 13 e 14 anni. Pin e password devono essere condivisi con i genitori, che devono riappropriarsi del proprio ruolo di educatori».

E avverte: «Quando tolgono l’orario di ultimo accesso o quando a 12 o 13 anni hanno Telegram sul cellulare bisogna cominciare a preoccuparsi dato che serve per andare nel dark web».

Dark web, di per sè legale, dove tuttavia è possibile cadere facilmente nell’illecito. «Dai 14 anni in poi – conclude Belardini – c’è l’imputabilità quindi bisogna spiegare ai propri figli che sono responsabili di quello che fanno. Se hanno un problema è importante non scoprirlo due anni dopo, quando è tardi: bisogna farsi furbi fin da subito, informandosi sulle applicazioni che i figli hanno sul cellulare».

Sul fronte social, Luigi Quaglio informa che sempre più profili personali social vengono violati e poi venduti per far acquistare follower ma anche per divulgare materiale pedopornografico. «Ne vediamo tantissimi e riceviamo minimo una decina di denunce al mese».