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«Salari più alti contro l’inflazione, la gente non arriva a fine mese»

Alice Benatti
«Salari più alti contro l’inflazione, la gente non arriva a fine mese»

Maurizio Landini, segretario nazionale della Cgil, al 19° congresso provinciale: «Cancelliamo la precarietà». E chiede maggiori tutele per tutti i lavoratori

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Reggio Emilia Il segretario nazionale della Cgil, Maurizio Landini, ospite al teatro Valli in occasione del 19° congresso provinciale della Camera del Lavoro di Reggio Emilia, traccia l’agenda economica del sindacato per uscire dalla crisi. «Cancelliamo la precarietà», invoca in una città in cui, nel 2021, soltanto un contratto su dieci dei nuovi stipulati dalle imprese reggiane è stato a tempo indeterminato. E insiste su una battaglia culturale importante: rendere il mondo del lavoro (anche) a misura delle donne.

I salari sono erosi dall’inflazione e dai rincari. Qual è la sua ricetta?

«Fare ciò che il governo non ha fatto: ridurre il carico fiscale e contributivo a favore dei salari e delle pensioni. E allo stesso tempo, visti i livelli di inflazione altissimi, ripristinare il cosiddetto fiscal drag, che significa rendere automatiche le rivalutazioni delle detrazioni. La sostanza è che la gente non arriva a fine mese e quindi bisogna aumentare i salari, agendo anche sul piano fiscale. Poi c’è il problema del rinnovo dei contratti nazionali sia nel settore pubblico che nel settore privato».

Parliamo di precariato, che attanaglia anche la nostra provincia…

«Questa è una delle ragioni per cui i salari sono bassi: negli ultimi 20 anni c’è stato un aumento della precarietà del lavoro senza precedenti. Aumentare i salari significa anche cancellare forme assurde di precarietà e permettere alle persone di avere un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Perché oggi riscontriamo salari bassi e mancanza di diritti: penso a tutte le forme di lavoro autonomo, tra cui le stesse partite Iva. Le persone, pur lavorando, non hanno gli stessi diritti e le stesse tutele. E questo ha favorito un’idea di competizione anche nell’economia fondata sulla riduzione dei diritti e dei salari. Non a caso i sistemi degli appalti, dei subappalti e delle finte cooperative sono quelli che hanno determinato un arretramento della qualità del sistema produttivo e dei servizi ma anche una riduzione dei salari e del livello delle condizioni di lavoro. Questo vale trasversalmente, in un pronto soccorso come in un centro commerciale e in un’impresa. Dunque la nostra battaglia non è solo “aumentiamo i salari” ma “cancelliamo la precarietà”, investendo sui diritti fondamentali: alla salute, alla scuola, alla formazione».

Il precariato interessa soprattutto le lavoratrici. Continua ad essere un mondo del lavoro su misura degli uomini?

«Assolutamente sì. La precarietà colpisce soprattutto le donne e i giovani. Dunque se sei donna e giovane, vieni colpita due volte. Innanzitutto siamo di fronte al fatto che, a parità di lavoro, i salari sono diversi. E siamo ancora un Paese in cui una donna rischia di perdere il proprio posto di lavoro o la possibilità di fare carriera se decide di avere un figlio. In Italia le discriminazioni di genere non solo non sono state superate ma rappresentano una delle battaglie culturali più urgenti da fare. Compreso il fatto che il livello di violenza sulle donne da parte degli uomini è ancora altissimo. Oggi affermare la differenza di genere e i diritti delle donne non significa rappresentare una parte ma una nuova cultura basata sul rispetto e sulla realizzazione di tutte le persone. Per quanto riguarda l’organizzazione sindacale, noi stiamo lavorando per fare in modo che ci sia un maggior numero di donne delegate impegnate».

La società si sta trasformando, il mondo del lavoro è cambiato. Quali prospettive per la Cgil?

«Sicuramente anche noi abbiamo bisogno di cambiare, di innovarci, di allargare la nostra rappresentanza: ci serve che i giovani e le nuove forme di lavoro entrino nel sindacato per modificarlo. Allo stesso tempo c’è bisogno che le istituzioni e la politica recuperino una credibilità perché quando quasi metà del Paese decide di non andare a votare è evidente che una parte consistente non si sente rappresentata da nessuno. Per farlo, la politica e l’azione sindacale devono essere capaci di risolvere i problemi delle persone, che vanno ascoltate. Bisogna allargare i luoghi e gli spazi in cui le persone, insieme, possono migliorare la loro condizione. Credo che la Cgil, con tutti i suoi limiti e difetti, continui ad essere un’organizzazione capace di attrarre quasi 5 milioni di iscritti. E il sindacato vive grazie al loro contributo economico, politico e di impegno. In questo senso, abbiamo bisogno ancora di più di allargare la nostra rappresentanza e di cambiare: dobbiamo riconquistare un vero statuto dei diritti dei lavoratori. Tutti, che siano partite iva o lavoratori dipendenti, devono avere gli stessi diritti e le stesse tutele».