Il capitano Landini rischia di annegare nel Po
Giuliano Landini, capitano della Stradivari, protagonista d’una disavventura: «Caduto in acqua, non riuscivo più a risalire: salvo grazie alla conoscenza del fiume»
Boretto È stata la forza della disperazione, unita al sangue freddo mantenuto in quei difficilissimi istanti, a consentire al 60enne Giuliano Landini di salvarsi dall’annegamento nel “suo” fiume Po.
Certo, sarebbe stato veramente il colmo per il capitano della Stradivari – dopo una vita trascorsa in piena simbiosi con l’acqua – fare una fine così tremenda e beffarda.
Ma l’esperienza, e un pizzico di buona sorte, hanno fatto sì che la disavventura non si trasformasse in tragedia. E basta guardarlo in faccia per capire quanto l’accaduto lo abbia segnato, nonostante siano passati solo pochi giorni.
Era venerdì 20 gennaio, quasi all’imbrunire e Landini si trovava da solo sul pontile Giudecca dove stava svolgendo attività di manutenzione. Come d’abitudine, Landini stava utilizzando un “mezzo marinaio” (una lunga asta di ferro) per rimuovere i detriti che si sono accumulati tra la Stradivari e lo stesso pontile quando l’attrezzo gli è scivolato dalle mani e lui, sporgendosi, è finito a sua volta in acqua.
«La mia fortuna – racconta Landini, mentre indica il luogo dell’incidente - è stata cadere sulla legna ammassata contro la prua del pontile e rimanere in galleggiamento per qualche minuto. A causa della sua altezza il pontile non mi permetteva né di risalire né di aggrapparmi, la legna ha iniziato a diradarsi sotto al mio peso e a quel punto ho iniziato a sprofondare, con le gambe e una parte del torace che, spinte dalla fortissima corrente, si infilavano sotto al pontile».
Landini, a quel punto, ha iniziato a vedersela brutta, perché le sue richieste d’aiuto non venivano raccolte da nessuno: il parcheggio e il lido Po erano deserti. «Ho capito che dovevo stare calmo – spiega il capitano – e ad un certo punto ho iniziato a strisciare lungo la fiancata del pontile con le mani aperte, e mi sono buttato in corrente in diagonale per raggiungere la sponda, abbastanza vicina ma quasi irraggiungibile perché gli abiti inzuppati di acqua mi tiravano sotto. Nuotando di lato con una forza inspiegabile che solo in queste circostanze puoi tirar fuori, mi sono accorto di un pezzo di legno in galleggiamento, l’ho afferrato e l’ho infilato sotto l’ascella sinistra. L’acqua ormai mi arrivava al naso, ma ad un certo punto ho iniziato a sentire la terra sotto ai piedi e ho pensato di essere salvo. Mi sbagliavo, perché la terra umida e scivolosa non mi permetteva di risalire la sponda, molto ripida». Arrivato a questo punto, ancora una volta si rivela provvidenziale il pezzo di legno: piantandolo nella terra limacciosa e facendo forza con le braccia, Landini è riuscito a risalire la riva e arrivare, stremato, nel parcheggio, dopo aver trascorso un quarto d’ora terribile, in un’acqua che aveva la temperatura di 3 gradi. Una volta tolti, gli indumenti bagnati pesavano 23 chili. «Sono vivo!» sono poi state le sue prime parole quando improvvisamente il telefonino ha squillato. Dall’altro lato del telefono – evidentemente waterproof – era France, la compagna di Landini, che sulle prime ha creduto ad uno scherzo. «Ho imparato – conclude il capitano – che quando si lavora sull'acqua bisogna essere rigorosamente in due e con la luce del giorno. Mi erano già capitate situazioni critiche quando mi sono rovesciato più volte mentre correvo in motoscafo, ma questa esperienza è stata la peggiore della mia vita: ho visto la morte in faccia. Sembra una sciocchezza, ma devo la vita alla conoscenza del fiume: ho mantenuto la calma e ragionato. In una circostanza simile anche un grande campione di nuoto potrebbe restarci secco, perché il Po ha dinamiche tutte sue». l