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Aveva 320 file pedopornografici: assolto dall’adescamento di minori

Ambra Prati
Aveva 320 file pedopornografici: assolto dall’adescamento di minori

I fatti risalgono al 2017: quattro bimbi avvicinati alla Bernolda

08 febbraio 2023
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Novellara Non sono bastati i 320 file (foto e video), trovati in tablet e computer, riguardanti minori nell’atto di compiere o subire atti sessuali, né i numerosi testimoni. Grazie all’inutilizzabilità delle intercettazioni captate in carcere, un 66enne nato a Correggio accusato di detenzione di materiale pedopornografico e di adescamento di minori – passato alla cronaca come il pedofilo dell’oratorio di Novellara – è stato assolto con formula piena: per il primo capo d’imputazione «il fatto non costituisce reato», per il secondo «il fatto non sussiste».

Il 66enne, già detenuto per altra causa (una violenza sessuale su un bimbo di 10 anni risalente al 2008), è finito nel mirino dei carabinieri nel 2017 per ché nella casa di accoglienza Bernolda era stata segnalata la presenza di un uomo che avvicinava quattro fratellini e sorelline che alloggiavano lì. L’inchiesta era passata alla polizia postale di Bologna, che passando al setaccio gli strumenti informatici aveva scoperchiato un quadro ben più ampio e altri contatti con minori via skype. Da qui l’accusa di adescamento: «Contattando su internet con social e Skype minori di anni sedici ovvero avvicinandoli in luoghi pubblici, lusingandoli con complimenti, prendendoli sulle ginocchia, accarezzandoli e abbracciandoli (per quelli avvicinati alla Bernolda) ovvero invitandoli a praticare sesso via internet (sexting tramite skype), adescava i minori al fine di realizzare e ottenere immagini dal contenuto pedoporno e di compiere atti sessuali». Nel disco esterno di un pc erano saltati fuori una miriade di file dal contenuto inequivocabile.

«Sulla detenzione di materiale pedopornografico non c’è alcun dubbio», ha detto il pm Marco Marano nella sua requisitoria, facendo riferimento ai colloqui intercettati che il 66enne ha avuto in carcere con la moglie. «Diceva “sono malato”, una malattia autodiagnosticata, e parlava delle sue difficoltà a contenersi – ha proseguito il pm Marano – Le parole dell’imputato fanno riferimento a una chat di pedofili: è una vera e propria confessione. Quando la moglie gli chiede se gli inquirenti avrebbero potuto trovare qualcosa nel computer, lui risponde “queste cose non accadono alla luce del sole, bisogna essere esperti, io ci sono arrivato”. Per sua stessa ammissione i file sono stati copiati e spostati su un altro dispositivo: una condotta illecita volontaria che dimostra il dolo». Una condanna a 5 anni e 4mila euro di multa è stata la richiesta dell’accusa, alla quale si è associata la parte civile, le legali Vera Sala e Stefania Musi, che rappresentano i genitori dei quattro bimbi della Bernolda. Invece l’avvocato difensore Nicola Tria, sollevando l’eccezione dell’inammissibilità delle intercettazioni «usate dal pm per lanciare suggestioni sulla personalità dell’imputato», ha sostenuto che «non c’è la prova di un download consapevole dei file»: questi ultimi sarebbero stati scaricati in automatico, «tranne una cartella di un centinaio di immagini che il mio assistito ha scaricato per parlarne con il figlio e dirgli di stare attento, per poi cancellarle». Sugli adescamenti il difensore ha evidenziato le contraddizioni dei testimoni e infine ha chiesto l’assoluzione.

Il collegio giudicante (presidente Cristina Beretti, a latere Giovanni Ghini e Silvia Semprini) ha emesso, a sorpresa, la sentenza assolutoria.

«Un verdetto condivisibile dal punto di vista procedurale, ma a nostro avviso non condivisibile alla luce dei fatti, che avevano destato grande allarme alla Bernolda. Siamo stupiti, visti i trascorsi dell’uomo», ha commentato il legale Musi.

«Esprimo soddisfazione per una sentenza che ha recepito per intero la linea difensiva e che soprattutto (ne eravamo certi) ha ricostruito la vicenda attenendosi esclusivamente ai fatti oggettivi e alle prove raccolte, senza lasciare spazio ad interferenze di altre vicende processuali dell’imputato». ha detto l’avvocato Tria.