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«Schiavi della cultura del villaggio: uccisero Saman per l’onore del gruppo»

Jacopo Della Porta
«Schiavi della cultura del villaggio: uccisero Saman per l’onore del gruppo»

Il giornalista italo-pakistano Ahmad Ejaz in aula: «Ho visto tre contadini spaesati. Non capiscono perché sono a processo: mi fanno pensare alla banalità del male»

11 febbraio 2023
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Reggio Emilia «Ho guardato in faccia i tre imputati, tre contadini di bassa cultura. Ho visto come stavano seduti, i loro sguardi persi. Non capiscono dove si trovano e cosa sta accadendo intorno a loro. Mi fanno pensare alla banalità del male». Ahmad Ejaz, giornalista italo-pakistano e mediatore culturale, noto al pubblico italiano anche per la partecipazione a trasmissioni televisive come “Chi l’ha visto?”, era in aula insieme all’associazione “Differenza Donna”, che gestisce centri antiviolenza in Italia, oltre al numero telefonico 1522, con la quale collabora da tempo.

Ejaz proviene anche lui dal Punjab, come la famiglia Abbas, però non da un villaggio rurale, ma dalla grande metropoli Lahore. Il giornalista, forte della conoscenza di quella realtà, è in grado di illuminare aspetti culturali che generalmente sfuggono al pubblico italiano.

Delitto d’onore

«Bisogna capire che il delitto d’onore è diverso dal femminicidio italiano, dobbiamo comprendere le differenze per combatterli entrambi. In comune hanno sicuramente il fatto che sono espressione del maschilismo e del patriarcato, ma poi ci sono aspetti divergenti. Nel delitto di Saman è il gruppo che ha deciso di ucciderla per tutelare l’onore, i singoli attori, infatti, non agiscono individualmente. L’ordine di uccidere è arrivato dal Pakistan, da un parente della mamma, gli altri hanno eseguito. Oggi in aula ho visto degli schiavi. Schiavi della cultura del loro villaggio. Nel femminicidio italiano agiscono mariti e fidanzati. Nel delitto d’onore padri, fratelli, cugini di qualsiasi grado…».

La ribellione di Saman sta anche nel rifiuto di questa logica identitaria di gruppo: la ragazza ha voluto affermare se stessa, come individuo, e così facendo si è creata una frattura insanabile con la famiglia.

Le caste

Ahmad Ejaz ritiene che ci siano due elementi da tenere in considerazione. «La cultura rurale del villaggio e in secondo luogo il sistema delle caste. La psicologia individuale in certe aree del Pakistan deriva dall’appartenenza a una casta, che è qualcosa di molto antico. Il matrimonio combinato è il perno intorno al quale girano queste comunità, matrimoni che avvengono all’interno della stessa casta».

Il giornalista italo-pakistano confronta il caso di Saman con altre cinque vicende avvenute in Italia a partire dall’assassinio di Hina Saleem, uccisa in provincia di Brescia nel 2006. «Tutte le famiglie venivano da una zona molto definita tra Mandi Bahuaddin, dove sono nati gli Abbas, e Gujrat. Sono zone rurali, dalle quali sono emigrati il 40% dei pakistani presenti in Italia. Spesso non sono integrati nella società dove emigrano, però tra loro si conoscono e formano un’opinione pubblica parallela. Tra loro si dicono: “Sai che quella ragazza si mette i jeans e non si mette lo chador?”».

L’estradizione

Un tema sullo sfondo, che aleggiava anche ieri in aula, è quello dell’estradizione dei genitori. «Ho incontrato il nuovo ambasciatore pakistano Ali Javed e ha garantito il suo impegno su questo tema. Credo che il padre Shabbar verrà estradato, con una estradizione cosiddetta di cortesia, visto che non esiste un trattato bilaterale».

Per la madre invece ci sarebbero poche speranze. «Non credo la stiano cercando: è una casalinga, non penso vorranno andarla a prendere».

In Italia, invece, la figura di Nazia Shaheen è quella intorno alla quale si è concentrato spesso il massimo della riprovazione: la mamma che tradisce la figlia è percepito come un atto contro natura. «Le mamme in questi delitti eseguono gli ordini dei mariti - prosegue il giornalista - poi piangono. La donna porta nel velo l’onore della famiglia. In qualche modo subisce le decisioni».

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