Gazzetta di Reggio

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Spari mortali, indagato Renato Curcio

Tiziano Soresina
Spari mortali, indagato Renato Curcio

L’ex ideologo delle Brigate rosse accusato dell’omicidio del carabiniere D’Alfonso. Quattro ore di interrogatorio, ma lui nega. Nel conflitto a fuoco morì anche la Cagol

25 febbraio 2023
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Reggio Emilia Svolta investigativa non indifferente nell’inchiesta sul conflitto a fuoco in cui il 5 giugno 1975 morirono la brigatista Margherita “Mara” Cagol e l’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso, mentre un secondo brigatista riuscì a scappare. La vicenda marchiò di sangue il sequestro dell’imprenditore vinicolo Vallarino Gancia.

Gli inquirenti, infatti, accusano dell’omicidio del carabiniere D’Alfonso l’81enne Renato Curcio, fra i fondatori delle Brigate rosse e marito della Cagol. Le indagini sono affidate ai carabinieri del Ros e coordinate dai magistrati del pool sul terrorismo e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. E lunedì scorso – a Roma, al comando dei carabinieri – è stato a lungo interrogato colui che diede origine al principale gruppo di lotta armata dell'estrema sinistra attivo negli anni di piombo. Quattro ore serrate di domande da parte del pool di pm (tre magistrati, due di Torino e uno di Roma) per mettere sotto pressione quello che fu l’ideologo delle Br.

Secondo quanto “filtra”, a Curcio viene contestato il ruolo apicale nel gruppo armato, il che significa per i pm aver scelto non solo i componenti del commando, ma anche chi sequestrare (cioè Gancia), decidendo il riscatto da chiedere e le modalità della trattativa. Un coinvolgimento a tutto tondo che poggia anche su della documentazione rintracciata. In primis il materiale trovato il 18 gennaio ’76 nel covo di via Maderno a Milano, quello in cui si erano nascosti Renato Curcio e la sua nuova compagna Nadia Mantovani. Proprio in quell'appartamento finì la loro latitanza. Tra le carte, i carabinieri trovarono anche una relazione sui fatti della cascina piemontese “Spiotta”(in cui era stato tenuto sotto sequestro Gancia) stilata dal brigatista che era scappato. Pagine importanti, perchè si trattava di una "memoria" sull'accaduto destinata ai vertici delle Br dell'epoca. Oltre al documento, tracce utili ad identificare quella che per anni è sempre stata un'ombra potrebbero arrivare proprio dall'analisi della macchine da scrivere: l'ombra a cui si dà la caccia da anni avrebbe pigiato su quei tasti per comporre la relazione di molte pagine.

In mano agli investigatori anche una pubblicazione clandestina delle Br (datata ottobre 1975) in cui si parla del fatto di sangue e si denuncia l’uccisione di Mara Cagol.

Assistito dall’avvocato Vainer Burani, l’ex terrorista indagato ha negato – lunedì – di essere coinvolto nel fatto di sangue in cui perse la vita il carabiniere, depositando una memoria in cui replica all’accusa di omicidio. Sinora sono stati sentiti – come testimoni – oltre una ventina di ex appartenenti alle Brigate rosse, fra cui non pochi reggiani: Alberto Franceschini, Loris Tonino Paroli, Attilio Casaletti, Roberto Ognibene e Franco Bonisoli. Tutti hanno detto non solo di essere estranei alla cupa vicenda, ma anche di saperne poco o nulla. Gli inquirenti sono convinti di poter dare un nome a quel terrorista sfuggito, ma non avrebbero ancora elementi sufficienti per dire che si trattava del reggiano Lauro Azzolini (ora 79enne) che – risulta alla Gazzetta – sinora non è stato interrogato da chi porta avanti l’indagine.

A dare nuova linfa all'inchiesta è stato il lavoro di Bruno D'Alfonso, il figlio del carabiniere rimasto ucciso, che nel novembre scorso ha presentato un esposto. Entrato nell’Arma seguendo le orme del padre, non ha mai rinunciato a cercare la verità. E sulla base di una ricerca negli archivi di Stato, nelle segreterie dei tribunale e tra gli atti della commissione Moro, ha presentato alla Procura di Torino un dossier ricco di domande e di spunti. «Nei miei 30 anni di servizio ho sempre fatto i miei accertamenti – ha raccontato Bruno D'Alfonso – ma forse i tempi non erano maturi. C'era sempre qualcosa o qualcuno che mi bloccava. Nel 2018 mi sono deciso ad andare a fondo e con i giornalisti Simona Folegnani e Berardo Lupacchini, autori del libro “Brigate Rosse. L'invisibile”, e l'avvocato Sergio Favretto abbiamo raccolto quegli elementi che mi hanno portato a presentare l'esposto, conducendo alla riapertura delle indagini».l