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La Curia reggiana dice “no” al bosco urbano dei volontari

Martina Riccò
La Curia reggiana dice “no” al bosco urbano dei volontari

Un gruppo di giovani voleva creare un polmone verde e sociale a Campegine «Abbiamo lavorato per un anno, ora è arrivata questa immotivata chiusura»

01 marzo 2023
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Reggio Emilia «Bosco di paese? La Curia dice no». Poche parole – affidate a uno striscione comparso ieri mattina nel campo di fronte alla chiesa di Campegine – per raccontare l’odissea vissuta da alcuni campeginesi “colpevoli” di aver sognato un paese più verde, più attento all’ambiente e anche più unito. Dopo un anno di ideazione e progettazione, durante il quale il gruppo si è anche strutturato per poter rispondere a tutte le richieste avanzate da parrocchia e amministrazione comunale, è arrivato il secco “no” della Curia, proprietaria del terreno su cui si era pensato di piantare alberi e arbusti. «La nostra non è una polemica fine a se stessa – chiarisce subito Filippo Ghirardini, fresco di laurea in Antropologia e il primo ad avere avuto l’idea di trasformare un semplice campo in qualcosa di più – ma davvero non ci capacitiamo di come, in un momento storico come il nostro, si possa bloccare un progetto di questo tipo, che avrebbe creato aggregazione oltre a dare un prezioso polmone verde al paese». Che non si trattasse di una trovata improvvisata si capisce dall’impegno con cui i volontari hanno curato ogni singolo particolare. E ora Filippo Ghirardini ed Elisa Fabbi – laureata in Economia e docente universitaria, altra colonna del gruppo – ci tengono a raccontarlo: «Questa iniziativa è stata pensata da alcuni giovani del paese, che condividono la sensibilità per temi ambientali ma anche la percezione che il loro territorio (pur ricco di risorse e potenzialità sociali) soffra dell’assenza di un polo aggregativo, soprattutto per i giovani, e della mancanza di una collaborazione attiva e costante tra le sue molte realtà associative e di volontariato».

Radici per il futuro

Il “la” è arrivato dal bando della Regione “Mettiamo radici per il futuro”, a cui il gruppo ha aderito e grazie a cui ha ottenuto gratuitamente alberi e arbusti autoctoni da piantare. «La nostra idea era quella di coinvolgere il più possibile il paese nella realizzazione di un’area verde che sarebbe poi stata gestita attraverso il lavoro di volontari, un luogo di benessere e di biodiversità, ma soprattutto un punto di partenza per sensibilizzare la popolazione alla cura della “Casa Comune”», dicono.

Fin da subito l’attenzione è caduta su un terreno di proprietà parrocchiale adiacente alla chiesa e a due passi dal municipio, ad oggi per nulla valorizzato: «Per la sua centralità nel paese e le sue dimensioni (circa una biolca e mezzo) questo appezzamento ci è sembrato perfetto per adempiere agli scopi ambientali, sociali ed educativi del nostro progetto. Abbiamo dunque esposto l’idea al parroco e al consiglio pastorale che l’hanno accolta con grande disponibilità ed entusiasmo e siamo passati al dialogo con l’amministrazione comunale (poiché l’area è considerata spazio attrezzato per attività sportivo-ricreative del verde pubblico di rilievo comunale) e alla progettazione concreta dell’impianto».

Per farlo si sono affidati a una paesaggista di grande esperienza e a un’azienda vivaistica del territorio. Il progetto – pensato per non impattare visivamente sulla facciata della chiesa e per ospitare, nel tempo, anche eventi e laboratori all’ombra delle piante – è stato poi sviluppato graficamente e visionato dall’Ufficio tecnico comunale.

Il confronto con la Curia

«A quel punto – raccontano Filippo ed Elisa – è cominciato il confronto con gli uffici diocesani e con il vicario monsignor Alberto Nicelli per chiedere l’approvazione, e in tale sede ci è stata esposta la necessità di dare al progetto e al gruppo dei volontari una struttura giuridica e organizzativa più definita». Il timore, probabilmente, era che i volontari potessero abbandonare il progetto in corso d’opera, lasciando alla Curia l’onere di curare il bosco e tenerlo pulito: «Era una preoccupazione lecita – riconoscono – dunque abbiamo subito preso contatto con l’associazione nazionale di tutela ambientale Pronatura, a cui il nostro gruppo di volontari si è associato, che si è resa disponibile a includere il nostro progetto nella loro associazione fungendo da ente giuridico-amministrativo di riferimento». Non solo. «Sulla base della richiesta della Curia di una completa assunzione di responsabilità da parte nostra nella gestione dell’area – spiegano i due volontari – si è deciso di comune accordo con gli uffici diocesani la stipula di un atto di cessione del diritto di superficie. Al momento della stesura della bozza dell’atto notarile, però, il notaio ha ricevuto dall’ufficio dell’Economato diocesano e dal Collegio dei Consultori una serie di richieste tra le quali l’imposizione di un contratto di durata massima di dieci anni non rinnovabile e l’obbligo, alla scadenza del contratto, di riportare l’area allo stato attuale. Ma – sottolineano – piantumare un bosco sapendo di doverlo estirpare dopo dieci anni non ci sembra molto ragionevole».

La stroncatura

Dopo oltre un anno di lavoro, mediazione tra enti, incontri con esperti e una lettera indirizzata al vescovo Giacomo Morandi (che non ha avuto risposta), resta solo tanta amarezza: «È emersa chiaramente una scarsa fiducia nei confronti di un’attività che vuole essere interamente gestita attraverso il volontariato – raccontano Filippo ed Elisa – ma ci chiediamo, a questo punto, come si possa ignorare che la quasi totalità della vita delle parrocchie si svolge attraverso il volontariato, che non è soltanto ingenuo slancio altruistico ma è anche competenza, professionalità, dedizione e precisione. Quando abbiamo presentato il nostro progetto al paese questa fiducia non è mancata: diverse persone si sono rese disponibili ad aiutarci, alcune hanno già messo a disposizione tempo, denaro, attrezzature e competenze per i lavori di progettazione e di preparazione del terreno che tra l’altro sono già stati realizzati. Tante altre persone hanno espresso la loro felicità e il loro sostegno all’idea e continuano a farlo. Se la Chiesa non riesce a raccogliere questa sfida e a superare lo sguardo amministrativo-burocratico per dare fiducia ai valori e alla cura del bene comune, forse occorre interrogarsi sull’effettivo significato dell’essere comunità cristiana nella società civile. Papa Francesco, a questo proposito, rivolge continui e instancabili inviti alla cura del Creato e sottolinea il valore profondamente religioso e pastorale di questa missione. Ci è stato detto che la poesia è bella ma bisogna essere persone concrete; ebbene – affermano – se essere concreti significa mettere le garanzie, la responsabilità e le questioni economiche davanti a tutto, allora noi scegliamo la poesia e continueremo a sceglierla. Una “poesia” non solo fatta di parole, ma di gesti, di scelte e, perché no, anche di sogni. Il nostro non è un capriccio – concludono Filippo ed Elisa – è una presa di posizione, nel senso più puro del termine. Prendiamo posizione perché non possiamo fare altrimenti, perché di fronte alle proporzioni della crisi climatica e sociale che ci troviamo a fronteggiare, la cura dell’ambiente e delle comunità non può più essere un’opzione, deve essere un imperativo».

La replica

Pronta la replica della Curia, inviata ieri sera ai giornali: «L’insediamento boschivo comporterebbe limitazioni a eventuali nuovi assetti che la parrocchia potrebbe assumere in futuro. In ogni caso, la scelta “green”, voluta dalla Laudato si’, non è smentita, anzi, la valorizzazione dell’ampio spazio verde destinato a prato stabile, ove non sono previsti fabbricati di alcun genere, trova piena conferma. Peraltro – si legge – non è emersa una chiara e condivisa destinazione di quello che dovrebbe diventare un “parco pubblico” da parte della pubblica amministrazione». l

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