Stefania, uccisa dietro al banco del bar
Era l’8 di agosto di tre anni fa, tardo pomeriggio: Icham Boukssid entrò nel locale del Foro Boario e come una furia si diresse dietro al bancone dove si trovava una ragazza cinese, Hui Zhou, che era solita aiutare i genitori sul lavoro e che tutti hanno poi descritto come «solare, sorridente, sempre gentile». Tutti la chiamavano abitualmente Stefania, un modo per aggirare la difficoltà del pronunciare i nomi cinesi. Icham la colpì a morte e poi fuggì. In diversi lo videro mentre scappava
Una fuga che durò diversi giorni. Pur braccato dalla polizia, che risalì in poche ore alla sua identità visionando le immagini delle telecamere della zona, Icham riuscì a nascondersi cambiando spesso posto, vivendo all’aperto, nella boscaglia del greto del torrente Crostolo.
Fu poi lui stesso a costituirsi ai carabinieri: «Sono quello che state cercando» disse una sera d’estate al citofono della caserma di Corso Cairoli. Senz a soldi e senza qualcuno che lo aiutasse non poteva andare avanti in quel modo, senza mangiare e senza dormire.
Nei mesi successivi è stato sottoposto a perizia psichiatrica e riconosciuto semi infermo di mente: aveva sviluppato una sorta di ossessione, da lui stesso definita “amorosa”, verso la ragazza, ma i giudici hanno stabilito che fosse consapevole del piano messo in atto al momento dell’assassinio.
Ai militari, dopo 10 giorni di caccia all’uomo nelle campagne della zona nord della città, si è presentato scalzo e con gli stessi abiti del giorno del delitto ormai sudici, ma parlava in modo coerente, lineare ed era lucidissimo nell’esporre la sua storia.
Al punto che, dopo essere stato rifocillato, ha indicato ai carabinieri il luogo preciso dove era nascosta l’arma del delitto, quel coltello da cucina con lama di 19 centimetri, con cui aveva sferrato 10 fendenti alla sua vittima.
Alla base dell’omicidio, secondo gli inquirenti, ci sarebbe un movente passionale. Un’infatuazione per la giovane barista che da circa due anni gli serviva ogni giorno la colazione e di cui l’uomo, raccontano i familiari, diceva da un anno e mezzo di essersi invaghito.
Un sentimento probabilmente unilaterale e non quindi corrisposto dalla ragazza, che potrebbe aver innescato il raptus omicida.
Ventiquattro anni e mezzo di reclusione, per Boukssid, e l’applicazione, come misura di sicurezza, del ricovero in Rems, struttura prevista per i condannati affetti da disturbi mentali.