Gazzetta di Reggio

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Il passaggio di testimone

«Lascio il Grade in buone mani. Il Core? È stato la nostra follia»

Alice Benatti
«Lascio il Grade in buone mani. Il Core? È stato la nostra follia»

Dopo sedici anni, Roberto Abati ha passato il testimone di direttore della fondazione alla 39enne Valeria Alberti

04 marzo 2023
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Reggio Emilia Si chiude un capitolo indimenticabile per la fondazione Grade onlus con l’addio dello storico direttore Roberto Abati, per 16 anni alla guida delle attività che lo hanno visto coordinare la complessa macchina organizzativa della raccolta fondi per la costruzione del Core. Benché lui assicuri che «lasciare è stato un percorso condiviso», il passaggio di testimone (avvenuto quest’estate con Valeria Alberti, 39 anni, manager del settore dell’enogastronomia), inevitabilmente segna un nuovo corso per questa realtà solidale reggiana nata come associazione nel 1989. E per Abati ora è il momento di tirare le somme, di lasciare spazio ai ricordi più belli di oltre un decennio di impegno a favore del centro di oncologia ed ematologia del Santa Maria Nuova e, più in generale, della lotta ai tumori sul fronte della ricerca.

Dunque lasciare è stata una scelta condivisa...

«Sì, fa parte penso e spero di un percorso di crescita: i cambiamenti ci devono essere. Così come è stato per me quando sono subentrato alla direzione nel 2007, sono convinto che Valeria possa portare risultati positivi».

Che bilancio trae da questi anni?

«Assolutamente positivo dato che abbiamo vissuto un periodo di entusiasmo legato alla sanità. Fu un’idea vincente quella di coinvolgere i cittadini attorno alla costruzione di un edificio conosciuto oggi come eccellenza in tutta Italia. Quando io e il dottor Merli abbiamo lanciato l’idea del Core, lui non era ancora primario. Ci siamo conosciuti a causa del mio percorso sanitario: ho avuto due tumori, curati da Merli. È stata la necessità a ispirarci dato che avevamo il day hospital ematologico confinante con il reparto di malattie infettive: qualcosa di assurdo per i pazienti immunodepressi. E poi gli spazi per la chemioterapia erano angusti. All’inizio ci guardavano come alieni, ma siamo riusciti a raccogliere una cifra straordinaria grazie al coinvolgimento di tutta la comunità. Era una follia: “inseguiamo un sogno” era lo slogan. E in 5 anni lo abbiamo realizzato».

Il ricordo più bello?

«I volontari, a cui più presentavamo sogni e progetti impossibili più erano carichi e appassionati. Poi i sorrisi meravigliati dei pazienti la prima volta che sono entrati nel nuovo edificio».

Che eredità lascia a Valeria Alberti?

«La responsabilità verso la città, che ci ha permesso di realizzare tutto questo, verso i medici che la fondazione stipendia direttamente e le loro famiglie. Penso che lei possa proseguire al meglio, mettendoci del suo. La scelta di defilarmi ritengo sia la decisione migliore: se io rimanessi nella fondazione come figura di secondo piano rischierei di farle ombra. Come se un sindaco si mettesse a fare l’assessore».

Quanto ha contato ReggioEmilia nel successo della fondazione?

«Il giorno dell’inaugurazione del Core l’allora presidente del Consiglio mi chiese se un progetto simile sarebbe stato realizzabile anche in altre regioni. Io gli risposi “se ci fossero i reggiani, sì». Noi abbiamo radici di solidarietà particolarmente forti».