«La pediatria del futuro nelle case delle comunità»
Reggio Emilia «Sarà difficile che in ogni comune, specie se piccolo, si possa continuare ad avere il pediatra “sotto casa”. Ne perderebbe la qualità delle prestazioni e delle possibilità diagnostiche immediate». A parlare del futuro della pediatria è Romano Manzotti, che oltre a essere pediatra di famiglia a Scandiano è anche segretario provinciale Fimp (Federazione italiana medici pediatri).
Con la sanità pubblica provata da carenza di personale e mancanza di fondi, non si può pensare che la pediatria sia un’isola felice. E infatti anche i pediatri, sia ospedalieri che di famiglia, sono sempre meno, con difficoltà a coprire i posti carenti, o anche assenze per malattia, ferie, aggiornamenti, gravidanze, e questo nonostante il notevole calo delle nascite. Diventa dunque necessario riorganizzarsi. «Secondo noi – afferma il dottor Manzotti – la riorganizzazione delle cure primarie, con la nascita delle “Case della comunità” dove i cittadini potranno rivolgersi per qualsiasi necessità socio-sanitaria, dovrà coinvolgere anche il pediatra di famiglia».
Non si tratta di un’operazione semplice, tuttavia, anche considerato che i pediatri di libera scelta sono molti meno rispetto ai medici di medicina generale. «Per favorire una buona assistenza pediatrica – suggerisce il segretario della Fimp – saranno necessarie alcune scelte ben precise. Intanto si dovrà favorire sempre più l’integrazione dei pediatri del territorio nelle case della comunità, dove possibile, o anche in altre strutture adeguate. Sarà necessaria una collaborazione della pediatria di comunità con i centri di vaccinazione e i “Centri aiuto alle Famiglie”, e una coordinazione con ostetriche e centri allattamento al seno come il “Latte e coccole”. Sarà inoltre necessario che quanti si occupano dei bambini (quindi neuropsichiatri infantili, psicologi, fisiatri e fisioterapisti, ortottisti, logopedisti, specialisti ambulatoriali dove presenti, servizi sociali) lavorino a stretto contatto. Infine è fondamentale aumentare i nuclei di pediatri che lavorano in gruppo».
Nessun pediatra lavora più soltanto con fonendoscopio, ricettario e computer, e i genitori che “frequentano” gli ambulatori pediatrici possono confermarlo: tanti pediatri usano già i tamponi faringei, eseguono esame rapido urine, proteina C reattiva, glicemia capillare, ossimetria, esami della vista, podoscopie e scoliometrie, otoscopie, alcuni anche ecografie di primo livello, oltre a usare otomicroscopio elettronico, strumenti per asportazione tappi di cerume, audiometria e impedenzometria, strumentazione sterile per medicazioni o piccola chirurgia, dermatoscopio, crioterapia per eliminare le verruche.
«Il valore aggiunto del lavoro in gruppo e a stretto contatto anche con altri professionisti – prosegue il dottor Manzotti – è soprattutto la possibilità di favorire il confronto fra i colleghi e anche, in casi particolari, la visita comune dello stesso bambino. La condivisione degli spazi permette inoltre l’acquisizione e l’utilizzo di strumentazione medica diagnostica ormai imprescindibile nel nostro lavoro, come già avviene in diverse “pediatrie di gruppo”. Si tratta di strumentazione che spesso non è possibile avere negli ambulatori individuali, soprattutto se multipli, e che rende più veloce diagnosi e terapie, evitando di inviare i bambini a visite specialistiche o esami di laboratorio con liste di attesa sempre più lunghe. Il lavoro in gruppo permette anche di usufruire delle diverse sub-specializzazioni dei pediatri presenti, per interesse individuale o per formazione specifica, con conseguente risparmio di ulteriori visite e tempo».
La direzione, per i pediatri, non può che essere questa: «Nell’ambito di ciascun distretto si dovrà favorire sistematicamente coordinazione e collaborazione fra i vari pediatri di famiglia e tra questi e tutti gli attori della area pediatrica, sacrificando parzialmente, se necessario, alcuni ambulatori pediatrici individuali ma mantenendo assolutamente il rapporto fiduciario», conclude Manzotti.