Gazzetta di Reggio

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La salute dei reggiani

Coronavirus, tre anni fa il lockdown «In aumento le patologie psichiatriche»

Martina Riccò
Coronavirus, tre anni fa il lockdown «In aumento le patologie psichiatriche»

Cristina Marchesi, direttrice generale Ausl «Dopo la pandemia ci sono più bisogni»

09 marzo 2023
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Reggio Emilia «Alcune Regioni faticano a chiudere i bilanci del 2022, altre, come l’Emilia-Romagna, li hanno chiusi, ma non possono reggere ulteriori disavanzi». Per l’assessore regionale alla salute Raffaele Donini, che è anche il coordinatore della commissione salute della Conferenza delle Regioni, mancano 3,8 miliardi spesi dalle Regioni per affrontare la pandemia e mai rimborsati e 1,4 per le spese energetiche. «Il problema della sostenibilità del sistema sanitario è un problema nazionale, dunque non risparmia la nostra regione né la nostra azienda – commenta la direttrice dell’Ausl reggiana, Cristina Marchesi – anche perché la pandemia ci ha lasciati in eredità molti bisogni».

A cosa si riferisce?

«A un diffuso disagio psicologico, per esempio, ma anche a un netto aumento di patologie psichiatriche. Poi è aumentata enormemente la richiesta di prestazioni specialistiche: nel mese di gennaio sono state prenotate diecimila prestazioni in più rispetto al gennaio del 2022. Questo è sicuramente legato a bisogni veri, ma dimostra anche la attuale tendenza delle persone a volersi tranquillizzare rispetto al proprio stato di salute. Diciamo che dopo tre anni di pandemia il sistema avrebbe bisogno di un periodo di decompressione invece è asfaltato da tutti questi nuovi bisogni».

Nuovi bisogni, “vecchi” problemi: pensiamo alla carenza di medici.

«Da quel punto di vista la situazione non è diversa da qualche mese fa: mancano medici, specialisti, anestesisti. Come abbiamo detto più volte dobbiamo aspettare che le nuove risorse terminino le varie scuole di specialità, per poi poterle usare. Ma all’orizzonte si sta profilando una nuova difficoltà».

Quale?

«La carenza di infermieri. Purtroppo i posti disponibili nei corsi di laurea in scienze infermieristiche non sono andati tutti coperti, e questo significa che la professione non è più attrattiva. Nonostante il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) preveda un potenziamento delle professioni sanitarie potremmo trovarci sprovvisti di queste figure. Nel nostro Paese il rapporto medici-infermieri è già molto basso, con 2,5 infermieri ogni medico, e dovremmo aumentarlo ma le prospettive non sono favorevoli. Anche per rispondere a questa criticità la nostra Regione sta lavorando a una innovazione del sistema sanitario, soprattutto per quanto riguarda la gestione dell’emergenza/urgenza, che tenga conto dei cambiamenti della società e anche della tecnologia».

Ora uno sguardo al passato. Il 9 marzo del 2020 iniziava il primo lockdown.

«Ricordo benissimo quella sera, circolavano da ore bozze del decreto Conte che poi sono state ufficializzate mentre ero a cena con la mia famiglia. Nelle settimane successive c’è stata la “desertificazione” della città: noi continuavamo ad andare a lavorare, anzi per 45 giorni abbiamo lavorato senza sosta perché ogni giorno era necessario confrontarsi sulla situazione e prendere decisioni, e ricordo che quando uscivo dal mio ufficio, intorno alle 21, tutte le luci erano spente, non c’era nessuno. Ricordo la marea montante di accessi Covid al pronto soccorso, le notizie che arrivavano da Piacenza, da Bergamo, la difficoltà a reperire i dispositivi di protezione individuale, la necessità di ricoverare le persone e non sapere dove metterle... per tre settimane gli accessi di positivi al pronto soccorso non hanno fatto che crescere, crescevano durante la settimana, rallentavano il sabato e la domenica e poi di nuovo il lunedì aumentavano, ed erano sempre di più di quelli del venerdì precedente. Poi il 30 marzo, per la prima volta, gli accessi del lunedì sono stati leggermente più bassi. Un piccolo ma importante segnale che qualcosa stava cambiando».

E oggi?

«Questo virus ci ha insegnato a non abbassare la guardia, a essere flessibili in base all’andamento dei casi. Oggi (ieri per chi legge, ndr) abbiamo avuto 16 ricoverati per Covid. I posti letto sono in tutto una cinquantina, man mano che la situazione migliora ne riconvertiamo alcuni. Liberando le risorse che avevamo per gestire i pazienti Covid possiamo dedicarci agli altri, recuperando quello che abbiamo dovuto lasciare indietro. Ma con le prestazioni di screening oncologico siamo in pari dalla fine del 2020».