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Crac, parlano Compagni e Medici «La Reggiana era una società sana»

Jacopo Della Porta
Crac, parlano Compagni e Medici  «La Reggiana era una società sana»

Le reazioni dopo l’archiviazione delle indagini sul fallimento nel 2018

11 marzo 2023
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Reggio Emilia La storia del fallimento della Reggiana del 2018 è molto semplice. Mike Piazza ha tenuto in vita una società che aveva costi insostenibili, soprattutto dei dipendenti, e mancava di adeguati ricavi. Quando il presidente americano e la moglie Alicia hanno chiuso i rubinetti, la compagine granata è andata incontro al suo inevitabile destino. La corposa relazione stilata da Stefano D’Orsi, professore universitario e commercialista, su mandato dei pm Giacomo Forte e Giulia Stignani, sostanzialmente evidenzia questo. Pertanto, la procura ha chiesto al gip Luca Ramponi di archiviare l’indagine a carico di 16 persone (una delle quali deceduta).

Gli accertamenti della procura rendono giustizia a Stefano Compagni e Gianfranco Medici, che ebbero duri scontri con i Piazza proprio a causa della questione dei bilanci. «I miei assistiti – dice l’avvocato Alessandro Carrara – sapevano di non aver commesso nulla di illecito e sono soddisfatti che l’indagine abbia fornito la possibilità di svolgere approfonditi controlli. Il decreto d’archiviazione stabilisce, infatti, che non è vero che vendettero una società con dei lati oscuri a Mike Piazza».

Le principali cause delle perdite economiche, ha acclarato il consulente, «sono state generate, prevalentemente, da costi del personale eccessivamente onerosi rispetto alle reali possibilità dell’Ac Reggiana». I ricavi del club non avrebbero in alcun modo potuto tenere il passo con l’esborso richiesto dai contratti dei tesserati. La procura ha vagliato vari contratti stipulati nel corso degli anni, quelli per l’affitto dello stadio, firmato da Compagni, la cessione dei diritti d’immagine in cambio di materiale tecnico a Sportika (Medici), la consulenza affidata a una società di Milano in vista della progettazione e ristrutturazione della sede societaria e l’acquisto di programmi gestionali e di formazione del personale. Tutte operazioni che sono state giudicate frutto di libere scelte imprenditoriali.

Una considerazione un po’ più articolata viene invece fatta in merito all’operazione del 2014, quando la Reggiana di Alessandro Barilli vendette il marchio alla Football Properties, di cui era amministratore unico lo stesso commercialista reggiano. Il marchio fu venduto a 793mila euro, «sebbene avesse un valore contabile netto di 30mila euro». Questa operazione generò una plusvalenza nel bilancio granata. In seguito, la Reggiana incorporò la Football Properties, che pertanto venne chiusa. Il consulente ha definito questa cessione con il termine “window dressing”, cioè abbellimento artificiale del bilancio. In questo modo, infatti, la perdita d’esercizio è risultata inferiore a quella effettiva; inoltre sono stati raggiunti i parametri previsti dalle norme federali. Il professore ipotizza si sia trattato di un falso in bilancio, anche se ha specificato che non c’è un nesso tra questa plusvalenza non veritiera e il successivo fallimento. La procura, alla luce di queste considerazioni, e dell’avvenuta prescrizione del presunto falso in bilancio, ha chiesto l’archiviazione.

Ma ci sono ancora in ballo querele per diffamazione e azioni civili. Ad esempio, è in corso un contenzioso relativo alla cessione della Reggiana da Barilli a Compagni. Il primo reclama una parte dei pagamenti pattuiti, il secondo invece ritiene di non dover dare più nulla (perché contesta il valore delle quote societarie).l