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«Ci hanno chiamato eroi poi ci hanno dimenticati C’è chi lascia gli ospedali»

Alice Benatti
«Ci hanno chiamato eroi poi ci hanno dimenticati C’è chi lascia gli ospedali»

L’allarme della presidente dell’ordine degli infermieri Maria Grazia Macchioni

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Reggio Emilia «I giovani sono meno interessati alla professione di infermiere perché è un lavoro che si concilia poco con la vita privata e loro questo aspetto lo “pesano” più di altre generazioni». Così Maria Grazia Macchioni, presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Reggio Emilia, commenta il fatto che, nell’ultimo anno, in città il numero di iscritti al corso di infermieristica di Unimore sia stato inferiore (si parla di una decina di studenti “fantasmi”) all’offerta di posti disponibili. «Pochi si iscrivono – riporta – e soltanto il 45% degli studenti, meno di uno su due, arriva alla fine dei tre anni: l’abbandono è importante. Nonostante per la nostra categoria ci siano lauree magistrali e master, rimaniamo infermieri per tutta la vita con scarse possibilità di carriera».

Per la presidente dell’Ordine, il “nodo” fondamentale è la poca considerazione sociale degli infermieri, che la pandemia avrebbe soltanto illuso di vedere abbattuto. «Durante l’emergenza sanitaria ci hanno chiamati eroi ma la verità è che la nostra professione non è mai stata portata sul palmo della mano da nessuno. Si pensi solo ai ringraziamenti che solitamente fa il cittadino: sono per i medici, citati per nome e cognome, mai per gli infermieri come singoli». Uno scarso riconoscimento dimostrato anche dalla retribuzione. «Il contratto è stato modificato ma, parlando con i colleghi, non sembra cambiata molto – riporta Macchioni – lo stipendio medio è compreso tra i 1500 e i 1700, chi prende qualcosa di più è il turnista. Gli stipendi sono più bassi di quelli dei nostri colleghi esteri eppure noi lavoriamo il 25% in più, dovendo anche fare i conti con quanto riportato da una ricerca dell’università di Verona: oltre il 50% degli infermieri italiani soffre di ansia o depressione». «Molti di quelli che sono stati impegnati sul fronte del Covid – continua – sono in burn out (termine che identifica uno stato di esaurimento sul piano emotivo, fisico e mentale, ndr) e questo, unito ai problemi causati dalla carenza di personale, rende la vita degli infermieri ancora più difficile. Molti a Reggio Emilia stanno lasciando gli ospedali per orientarsi nel privato perché il pubblico ti chiede di lavorare nei festivi, ad esempio, mentre di solito nei poliambulatori non ci sono turni e la settimana lavorativa finisce il venerdì. Altri infermieri si stanno spostando invece nelle strutture protette, quelle che hanno subito la maggior perdita di personale infermieristico. Incontro anche parecchie persone che vogliono cambiare attività lavorativa e che si stanno informando sulla partita Iva».

Ad oggi, se guardiamo ai 3.350 (di cui un centinaio di pensionati) iscritti all’ordine degli infermieri, la maggior parte lavora nel Servizio Sanitario Nazionale. Al di fuori degli ospedali c’è chi è impiegato nelle case protette, nei poliambulatori, nelle medicine di gruppo. E i liberi professionisti sono pochissimi: circa 80-90, ma in aumento. Per Macchioni è difficile stimare esattamente quanti infermieri manchino oggi all’appello sul territorio ma il problema esiste e si traduce in turni extra e straordinari obbligati per chi lavora. «Secondo il Pnrr dovrebbe esserci un infermiere ogni 2500 abitanti e sarebbero anche già stati stanziati i fondi necessari a decentrare la sanità dall’ospedale al territorio» riporta Macchioni, che sottolinea l’importanza degli infermieri di comunità. Riguardo la figura del Super Oss (Operatore socio sanitario), la presidente evidenzia di aver lottato in Regione per questi professionisti, che sarebbero di grandissima utilità «nell’aiutare gli infermieri ad assistere meglio i cittadini ma non li sostituirebbero, andando a colmare la carenza che registriamo oggi».l

A.B

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