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Dal liceo Moro alla Svezia per sognare un mondo migliore

Martina Riccò
Dal liceo Moro alla Svezia per sognare un mondo migliore

La quarta O ha partecipato al progetto “Erasmus +” sui cambiamenti climatici. «Gli svedesi sono più preparati di noi sul tema della sostenibilità ambientale»

19 marzo 2023
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Reggio Emilia Venti studenti del liceo scientifico di Motala, piccola città sul secondo lago più grande della Svezia, sono venuti a Reggio Emilia; poi gli studenti di quarta O del liceo scientifico Aldo Moro sono partiti a loro volta e sono rimasti a Motala una settimana. Dopo essersi informati e preparati, hanno presentato proposte per raggiungere la sostenibilità ambientale, simulando la “Cop 28”, ovvero la prossima assemblea dei Paesi che hanno ratificato la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Molti di loro non avevano mai preso l’aereo, né viaggiato fuori dall’Italia. Nessuno di loro aveva mai vissuto... con un’altra famiglia, a quasi duemila chilometri di distanza dalla propria. Ora, grazie al progetto “Erasmus +”, i ragazzi e le ragazze del Moro possono festeggiare queste “prime volte”. E il festeggiamento va condiviso: non hanno solamente acquisito maggiore autonomia e competenze linguistiche, infatti, ma hanno anche approfondito tematiche importanti per la vita di tutti, come il cambiamento climatico e l’impatto dell’inquinamento a livello globale.

«Mi spaventava l’idea di prendere l’aereo e andare in un Paese diverso dal mio – racconta Marta Iotti – ma mi incuriosiva conoscere una nuova cultura e nuove persone». «Quando sono arrivati gli svedesi non sapevo cosa aspettarmi – ricorda Emanuele Greco – poteva capitarmi una persona con cui non sarei andato d’accordo come il mio nuovo migliore amico, però mi sono trovato subito bene e si è formata una bella amicizia. Ci siamo sentiti spesso anche al di là di questo progetto». «Inizialmente avevo un po’ di paura – dice Benedetta Rinaldi – perché non sapevo che carattere avesse la ragazza che ho ospitato e se potessimo andare d’accordo, avevo paura di non riuscire a parlare con lei e condividere bei momenti insieme, invece siamo riuscite a parlare e a confrontarci su diversi argomenti, tra cui le differenze tra i nostri Paesi, e anche se abbiamo caratteri molto diversi ci siamo trovate bene». Lavorare fianco a fianco con i propri “colleghi” svedesi ha permesso ai ragazzi reggiani di migliorare il proprio inglese ma anche di conoscere cultura e abitudini diverse dalle proprie. Perché, come recita il sottotitolo del progetto, “Enriching lives, opening minds”, sono proprio esperienze come questa ad arricchire la vita e far aprire la mente. «La scuola svedese è completamente diversa da quella italiana – nota Filippo D’Autilio – sia fisicamente, perché loro hanno tanti ambienti in comune e spazi per rilassarsi, ma anche come forma di apprendimento. In Svezia studenti e docenti comunicano come se fossero amici e questo, secondo i ragazzi svedesi, aiuta molto ad apprendere le nozioni in modo più spontaneo e divertente». «Gli svedesi restano a scuola anche a pranzo – aggiunge Piero Righini – e tornano a casa verso le 16, ma abbiamo notato che hanno molte pause e anche le pretese a livello di studio sembrano inferiori alle nostre, però comunque tra gli studenti c’è un buon rapporto e dunque penso che questa tipologia di scuola sia valida». Gli studenti del Moro hanno poi notato differenze anche nel modo di “vivere” la città: «Reggio è più grande e popolata di Motala, circa quattro volte tanto, ma i ragazzi svedesi si incontrano nelle case degli amici, difficilmente in centro», spiega Riccardo Lusetti. «A Motala ci sono prevalentemente case, pochissimi negozi – aggiunge Tommaso Ferri – e quei pochi sono centri commerciali, in cui i ragazzi passano la maggior parte del loro tempo. Un’altra grossa differenza è che di sera Motala è deserta, già alle 19.30 non c’è più nessuno in giro».

Dopo aver ospitato gli studenti di Motala nelle proprie case, i ragazzi del Moro hanno fatto i bagagli e sono stati a loro volta ospitati dalle famiglie svedesi. «Non hanno abitudini diverse dalle nostre – racconta Greta Olmi – a parte il cibo che mangiano. La famiglia che mi ha ospitata è stata molto gentile e mi ha sempre messo a mio agio». Esperienza positiva anche per Agnese Gualdi, che però è rimasta sorpresa dagli orari dei pasti: «I ragazzi svedesi pranzano molto presto a scuola e di sera cenano in famiglia anche alle 17.30-18».

Ma grazie allo “scambio” i reggiani hanno scoperto anche altro: «Non solo gli svedesi prendono molto seriamente il tema del cambiamento climatico – spiega Filippo D’Autilio – ma in Svezia non sembra esserci bisogno di sensibilizzazione: la sostenibilità ambientale fa parte della loro cultura, per loro è naturale essere sensibili a questo tema. Anche i ragazzi con cui abbiamo lavorato erano più pronti di noi, sapevano più cose». Al termine del progetto, gli studenti hanno capito che per rendere il mondo più “green” e pulito, «i Paesi più ricchi dovrebbero aiutare quelli più poveri condividendo tecnologie e nuovi strumenti, oltre ovviamente a impegnarsi per ridurre le emissioni di gas effetto serra e anidride carbonica», afferma Laura Bucci.

E ora, di nuovo in Italia, di nuovo a Reggio Emilia, i ragazzi si scoprono diversi. «Mi sono stupito della facilità con cui siamo stati insieme, sia tra di noi che con i ragazzi svedesi, in un Paese che non conoscevamo», riflette Giacomo Barbieri. «A me è servito partire perché ora apprezzo molto di più il nostro Paese e le nostre tradizioni», gli fa eco Luigi Tomaiolo. Ma poi che gioia scoprire di poter parlare in inglese, riuscire a esprimersi e allo stesso tempo capire: «Ho scoperto di parlare inglese meglio di quanto credessi e ho acquisito più sicurezza in me stesso, nell’esprimermi e nel confrontarmi con le persone», dice Emanuele Greco. «Siamo riusciti a parlare di argomenti complessi e sostenere discorsi lunghi – sottolinea Chiara Sironi – e tra l’altro parlando inglese tutti i giorni siamo molto migliorati». «Io ho scoperto l’importanza della collaborazione», dice Giulia Pantani. «Io – osserva invece Andrea Quattrocchi – sentendomi uno straniero, ho capito che siamo tutti uguali». Una bella lezione. Per tutti. l

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