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Mascherine, l’inchiesta per truffa: il Riesame dà ragione alla procura

Ambra Prati
Mascherine, l’inchiesta per truffa: il Riesame dà ragione alla procura

Maxi appalto Ausl Disposti i domiciliari per due imprenditori indagati, ma non ci andranno

21 marzo 2023
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Reggio Emilia Mascherine importate dalla Cina con l’etichetta Dpi, che in realtà erano generiche e non avevano nulla che fare con i dispositivi di protezione individuale. È questo il fulcro dell’indagine denominata “The mask”, nata in pieno periodo Covid, quando tutti gli enti pubblici erano alla ricerca spasmodica di mascherine introvabili.

Ora su quell’inchiesta la procura di Reggio Emilia ha vinto un primo round. Il tribunale del Riesame di Bologna, al quale si era appellato il pm Marco Marano, ha ribaltato la decisione del gip, che aveva respinto qualsiasi richiesta di misura cautelare. Il 13 marzo scorso il Riesame ha riconosciuto che sussistono «gravi indizi di colpevolezza» e «un contesto truffaldino ai danni della pubblica amministrazione» per i due imprenditori coinvolti, il trentino Paolo Paris e il reggiano Lorenzo Scarfone: e ha affermato che per costoro sussistono i presupposti per gli arresti domiciliari, come aveva chiesto il pm in prima battuta. La misura, tuttavia, non è esecutiva finché non passerà in giudicato. Paris e Scarfone devono rispondere dei reati di truffa aggravata in concorso ai danni dello Stato e di frode nelle pubbliche forniture, ma anche (con una posizione più sfumata) di corruzione e di reati tributari.

L’inchiesta era emersa nel marzo 2021, quando la Guardia di Finanza si è recata a prelevare documentazione negli uffici della direzione Ausl all’ex San Lazzaro. Un mese dopo è scattato il sequestro di più di 2 milioni di mascherine, per un valore di 5 milioni e 600mila euro. Nel mirino delle Fiamme Gialle è finito un maxi appalto di due anni prima, marzo 2019, quando nella carenza generalizzata di mascherine in piena pandemia diversi imprenditori fiutando l’affare si erano “riconvertiti” come mediatori per reperire mascherine all’estero. È in quel contesto che l’Ausl di Reggio, con assegnazione diretta, ha comprato da Paris, specializzato nel campo dei formaggi stagionati reinventatosi nel settore sanitario, 5 milioni di mascherine tra chirurgiche ed Ffp2, destinate agli ospedali e alle case protette. Il valore dell’appalto era di 5 milioni e 600mila euro. Le mascherine cinesi, sottoposte a perizia tecnica, sono risultate non conformi all’uso medico. Passando ad analizzare i flussi contabili, le Fiamme Gialle hanno constatato l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per 600mila euro. I finanzieri hanno sequestrato 320mila euro ritenuti provento delle false fatturazioni, oltre ad altri 2,2 milioni di mascherine ancora nel deposito dell’Ausl.

Due anni dopo, a inchiesta conclusa, il sostituto procuratore Marco Marano (all’epoca affiancato dal collega Iacopo Berardi) ha iscritto nel registro degli indagati sei persone, che avrebbero inquinato l’appalto per trarne profitto. Tre degli indagati sono reggiani: l’allora responsabile del rischio dell’Ausl oggi in pensione, Pietro Ragni, che ha sempre negato di essere coinvolto nella corruzione; Giovanni Morini, ingegnere responsabile del Servizio di prevenzione e protezione dell’Ausl, l’imprenditore Lorenzo Scarfone, mediatore tra l’azienda sanitaria e Paolo Paris, che si era aggiudicato l’appalto. Altri due imprenditori, un francese e uno spagnolo, avrebbero anche loro mediato tra Paris e la Cina produttrice dei dispositivi di protezione farlocchi. L’Ausl, da parte sua, all’epoca ha dichiarato di essere «parte lesa» in questa vicenda.

Al centro dell’appalto contestato c’erano Paris e Scarfone, per i quali la procura ha chiesto i domiciliari che il gip ha respinto; da qui il ricorso al Riesame. I due imprenditori non hanno mai avuto alcuna misura: sono liberi.

«È vero che il Riesame ha accolto l’appello del pm disponendo i domiciliari ma che il provvedimento non sarà esecutivo finché non ci sarà il ricorso per Cassazione, che senza dubbio noi presenteremo perché il tribunale di Reggio aveva confermato il rigetto dei sequestri dicendo che non c’era nemmeno il fumus dei reati contestati. Tra l’altro applicare una misura cautelare a distanza di anni mi pare fuori tempo massimo – dichiara l’avvocato Enrico Fontana di Modena, difensore di Scarfone – I due imprenditori hanno sempre sostenuto di aver agito in buonafede: hanno fatto tutto il possibile affinché le mascherine fossero conformi».  l

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