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Morto in carcere a 39 anni, l’appello della zia «Dopo un anno non c’è nemmeno l’autopsia»

Ambra Prati
Morto in carcere a 39 anni, l’appello della zia «Dopo un anno non c’è nemmeno l’autopsia»

Giuseppe Convertino è deceduto alla Pulce il 10 aprile 2022: era stato arrestato 24 ore prima I familiari sospettano che sia stato fatale un farmaco. L’avvocato: «Aspetto la relazione»

22 marzo 2023
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Reggio Emilia «Mio nipote è morto in carcere, dov’era arrivato meno di 24 ore prima. È passato un anno: il 10 aprile sarà l’anniversario del decesso. E ancora non sappiamo nulla: non abbiamo nemmeno l’esito dell’autopsia. Vogliamo sapere perché è morto: ci basta questo». Lorenza Incerti è la sorella gemella di Lorena, madre di Giuseppe Convertino, morto a 39 anni il 10 aprile 2022 nel carcere reggiano.

«Giuseppe è stato prelevato dalla polizia il sabato pomeriggio. La domenica sera ci hanno chiamato dalla Pulce per comunicarci che era morto. Dopo essere passato dall’infermeria si trovava in una cella provvisoria, in attesa di essere assegnato alla sezione; secondo il compagno di cella era tranquillo, chiacchierava, guardava la tv. Dopo che è passato il carrello delle terapie ha iniziato a rantolare e a sbavare sulla branda: secondo i medici del 118 ha ceduto il cuore».

L’esistenza travagliata di Giuseppe, con problemi di dipendenze dall’alcol e dalle droghe sintetiche, ha avuto un epilogo terribile. «Abbiamo potuto fare il funerale solo dopo settimane. Abbiamo passato un calvario che solo chi ha vissuto esperienze del genere può capire – spiega la zia –. Non nascondo che Giuseppe aveva un fisico debilitato dalla tossicodipendenza: da anni era seguito dal Sert, andava e veniva dal carcere, faceva furti, su di lui pendevano Daspo e Codice rosso. Mia sorella, però, aveva solo lui: ora è sola».

Le sorelle hanno fatto tutto il possibile per fare luce sulla vicenda. «Ci siamo presentate il lunedì in carcere, abbiamo parlato con la direttrice, siamo state ricevute dal pm titolare Giacomo Forte, abbiamo pagato di tasca nostra un medico legale. Ma finora è stato come scontrarsi contro un muro di gomma: vieni liquidato con due parole. Quello che non comprendiamo è perché, a distanza di tanto tempo, nessuno ci sappia dare una spiegazione».

La zia precisa che non accusa nessuno. «Né la polizia (ci hanno aiutato tante volte), né il magistrato che ci è parso coscienzioso, né gli agenti di polizia penitenziaria. Può essere stato un semplice malore: vorremmo però avere in mano i risultati dall’autopsia».

I familiari si sono rivolti all’avvocato Angelo Russo, che spiega: «Non è un caso alla Stefano Cucchi: abbiamo assistito all’autopsia e il corpo non aveva alcun segno di violenza. Il sospetto è che per Giuseppe, che nell’ultimo periodo non assumeva farmaci, possa essere stata fatale la somministrazione di una medicina».

Subito dopo il decesso l’avvocato Russo ha presentato un esposto alla procura chiedendo l’autopsia: è stato disposto un accertamento tecnico, eseguito alla presenza sia del consulente del pm sia del medico legale di parte. Nel frattempo l’indagine “classica” è andata avanti: sono stati ascoltati il medico del carcere, il compagno di cella, gli agenti intervenuti. «Il consulente della procura ha disposto un supplemento di esami istologici per approfondire il caso: e lì siamo rimasti, in attesa della relazione del Ctu». Un anno per l’esito dell’autopsia? «Sì – conferma il legale –. Teniamo conto che la sanità pubblica ha tempi lunghi. Comprendo il dolore dei familiari. Una volta depositata la relazione il pm potrà decidere se archiviare o meno. Attendiamo fiduciosi gli sviluppi».

Lorenza Incerti prosegue la sua battaglia. «Siamo persone semplici, è vero, ma vorremmo rispetto e verità. Diteci perché è morto».