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«Saman lasciata senza documenti? Una falla tremenda di questo caso»

«Saman lasciata senza documenti? Una falla tremenda di questo caso»

L’attivista Tiziana Dal Pra di Trama di Terre: «Mancata una risposta di sistema adeguata»

29 marzo 2023
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Novellara C’è un tema sullo sfondo della tragedia di Saman, che è stato spesso evocato e che sta tornando all’attenzione anche nelle prime udienze del processo. Quello dei documenti.

Da quando nel novembre 2020 la minorenne venne allontanata dalla sua abitazione di Novellara, perché aveva denunciato che i genitori volevano obbligarla a sposare un cugino in Pakistan, non ha avuto la possibilità di avere in mano il permesso di soggiorno, la carta d’identità e il passaporto. Tanto che nell’aprile 2021 tornò a casa anche per riprendere quelle carte, tenute sottochiave dal padre.

«Premesso che Saman non è morta per questo motivo, e probabilmente è tornata a casa perché voleva rivedere i genitori, quella dei documenti è una falla tremenda di questa vicenda: dovevano essere recuperati subito». Tiziana Dal Pra, fondatrice dell’associazione interculturale Trama di Terre, che è parte civile nel processo - a pieno titolo dato che è stata tra le prime ad occuparsi di matrimoni forzati in Italia - indica con decisione uno dei punti dolenti di questa vicenda.

Dal Pra, è normale che una minore allontanata da casa incontri tutte queste difficoltà ad avere i suoi documenti? La ragazza denunciò lo smarrimento del permesso di soggiorno a metà febbraio. Doveva seguire la richiesta di duplicato, ma per ragioni da chiarire non venne mai fatta. Tra l’altro, il permesso era scaduto e dunque forse doveva essere indirizzata in questura per il rinnovo.

«Qui c’è un problema evidente. La prima cosa da fare era ridarle i documenti. I documenti sono una cosa personale, erano di Saman, non dei genitori. È anche una questione di dignità. Il Tribunale per i minorenni, le forze dell’ordine e altri soggetti dovevano attivarsi subito. In queste situazioni ci vorrebbero degli atti di coraggio».

In che senso? Crede sia mancato il coraggio?

«Temo che alcuni abbiano paura di fare quello che andrebbe fatto per non essere tacciati di razzismo. Sa cosa succede quando una donna italiana scappa di casa perché maltrattata? Che in un paio di giorni la polizia o gli assistenti sociali si recano nella sua abitazione a recuperare gli effetti personali. Con le ragazze che denunciano un matrimonio forzato, servono procedure simili. Serve una risposta di sistema. Nel caso di Saman non sono i singoli attori ad aver fallito: è mancata una risposta di sistema adeguata. Una procedura veloce che consentisse di risolvere il problema, di far capire alla ragazza quale fossero i suoi diritti e proteggerla».

Insomma, bisognava entrare subito in casa del padre o rifare i documenti ex novo. Crede, dunque, che quando sono coinvolti minori stranieri ci siano più remore a intervenire?

«Le faccio un esempio. Alle volte capita che gli insegnanti notino qualcosa che non va. Una bambina si presenta in classe con delle ecchimosi: un docente lo segnala ai dirigenti, ma poi magari si sente dire che è “una questione familiare” e non bisogna intervenire. Con questo comportamento, dettato dal timore di criminalizzare determinate comunità, di fatto produciamo dei meccanismi che causano un arretramento dei diritti ».

La “legge Saman”, approvata alla Camera, ma non al Senato per la caduta del governo Draghi, prevedeva la concessione del permesso di soggiorno temporaneo alle vittime di matrimonio forzato. Che fine ha fatto?

«È ferma. Tra l’altro aveva molti limiti. Perché concedere un permesso di soggiorno solo temporaneo? Qualcuno ha idea di quanto tempo duri la presa in carico di queste ragazze? Nel caso di Saman è stato chiaro che i pericoli maggiori si sono presentati quando è diventata maggiorenne. Il percorso di sostegno non è breve».

La vicenda Saman ha gettato luce su un fenomeno, quello dei matrimoni combinati e forzati, molto radicato nel subcontinente indiano.

«Finalmente se ne parla. Dobbiamo renderci conto che abbiamo tante ragazze che non finiscono la scuola, che sono segregate in casa come Cenerentola e sfruttate nei lavori domestici, addirittura denutrite. Qualsiasi legge deve scaturire prima di tutto da un dibattito con le associazioni, le scuole, i servizi sociali e tutti gli attori che si occupano di questo tema. Serve una comprensione del fenomeno, come è avvenuto con la mafia. Bisogna comprenderne le specificità per intervenire». l

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