I familiari delle vittime: «No alla commissione d’inchiesta»
Il presidente dell’associazione: «Temo che la destra voglia riscrivere la storia» Sulla sentenza mandanti: «Ha svelato le coperture istituzionali dell’attentato»
Bologna «La verità più importante è quella giudiziaria, anche se data la protezione ricevuta da certi personaggi non si può ritenere completa. Questa sentenza rivela le coperture istituzionali. E io temo che la destra, attraverso la commissione d’inchiesta sulla violenza politica negli anni ’70-’80, voglia tentare di riscrivere la storia». Era il 6 aprile 2022 quando la corte d’Assise di Bologna emetteva la sentenza di primo grado del processo mandanti della strage di Bologna. E a distanza di un anno da quel pronunciamento, con il deposito delle motivazioni è stato fissato un nuovo punto fermo nella ricostruzione dell’attentato più efferato dell’Italia repubblicana, che il 2 agosto 1980 provocò 85 morti e oltre 200 feriti. Per Paolo Bolognesi, presidente dei familiari delle vittime del 2 agosto, la verità tuttavia resta incompleta, nonostante decenni di processi culminati con la condanna all’ergastolo della Primula Nera ed ex Avanguardia Nazionale, Paolo Bellini. Quest’ultimo si è sempre proclamato innocente e i suoi legali hanno da tempo annunciato Appello. Ma, secondo la Corte, il killer reggiano ha agito in concorso con gli ex Nar già condannati in via definitiva, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, con Gilberto Cavallini (condannato all’ergastolo in primo grado) e soprattutto con una rete di finanziatori e organizzatori che ruota attorno alle figure del capo della P2, Licio Gelli, del banchiere Umberto Ortolani, dell’ex capo dell’ufficio Affari Riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato e del giornalista iscritto alla P2 ed ex senatore Msi, Mario Tedeschi.
Bolognesi, cosa differenzia questa sentenza dalle altre?
«Le altre sentenze finora si concentravano in maniera dominante sugli esecutori materiali. Qui invece emerge chi sono stati mandanti. Si va oltre: ci sono le collusioni con i vertici dei servizi segreti, con un salto di qualità notevolissimo. Da questo punto di vista, è un’altra descrizione rispetto a coloro che parlano di Nar come spontaneismo armato. Lo spontaneismo è una barzelletta, così come la pista palestinese».
Il quadro ora è completo?
«No, perché manca tutto il livello politico. I principali personaggi che parlavano di spontaneismo erano Cossiga e i ministri dell’epoca. Bisogna considerare che i vertici dei servizi italiani erano iscritti alla P2, nominati dai governi Andreotti e Cossiga, due personalità politiche potentissime. Cossiga è diventato anche capo dello Stato, votato all’unanimità. Che ci fosse una visione superficiale delle responsabilità politiche bisogna riconoscerlo, anche da parte della sinistra. L’elezione di Cossiga è un vulnus non piccolo».
Come si inserisce la figura di Bellini in questo contesto?
«Bellini era un uomo di destra, legato ad Avanguardia Nazionale, collegato ai servizi, protetto, infiltrato poi anche nella Trattativa Stato Mafia. È un collegamento fra il vecchio e il nuovo: un trait d’union notevole per capire come venivano utilizzati certi personaggi».
Recentemente Bellini ha fornito una sua versione, parlando di un legame con l’ex onorevole Dc, Flaminio Piccoli, e accennando a un non meglio precisato giuramento al santuario della Madonna di Pietralba. Una ricostruzione che non ha fornito al processo, ma in un’intervista. Lei che idea si è fatto?
«Sono messaggi ricattatori. Un modo per dire: “Io sono quello lì, mi dovete proteggere”. Anche il fatto di aver parlato del giuramento citando la chiesa dove giuravano i gladiatori (ovvero gli affiliati a Gladio, ndr) è un modo per fare capire “non potete scaricarmi”. Sono messaggi ricattatori, evidentemente c’è ancora qualcuno che li teme».
Ma secondo lei perché dopo 43 anni nessuno confessa?
«Confessare è molto pericoloso, sia a livello di reazione dell’opinione pubblica sia perché una confessione vorrebbe dire spiegare come è stata organizzata la strage. Verrebbe inoltre meno tutta la protezione creata in questi anni attorno agli esecutori».
La destra al governo vuol istituire una commissione parlamentare. Teme che sia un tentativo di riscrivere la storia?
«Io lo temo. E insieme ad altre associazioni abbiamo chiesto che non venga fatta. Le commissioni restituiscono verità mediate, dove ogni forza politica cerca di evitare che le colpe ricadano su di essa. Ecco perché credo che la più importante resti la verità giudiziaria e considero questa sentenza fondamentale». l