Gazzetta di Reggio

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Strage di via D’Amelio, la lite in carcere tra Bellini e Di Matteo

Evaristo Sparvieri
Strage di via D’Amelio, la lite in carcere tra Bellini e Di Matteo

La Primula Nera si trovava nel penitenziario in cui erano reclusi i collaboratori di giustizia. Chiesti chiarimenti sul litigio e sulla morte del boss di Altofonte, Nino Gioè

14 aprile 2023
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È il 2015. E la Primula Nera ed ex Avanguardia Nazionale, Paolo Bellini, è testimone nel processo bis sulla strage di Capaci. È in questo processo che Bellini parla del suo rapporto con Santino Di Matteo, il collaboratore di giustizia le cui parole su un’infiltrazione della Primula Nera nei servizi segreti sono entrate nelle motivazioni della sentenza sul depistaggio della strage di via D’Amelio.

«Certo che l’ho conosciuto», ammette la Primula Nera lasciandosi scappare anche un accenno di risata. L’incontro risale a metà degli anni duemila, fra il 2005 e il 2008, nel carcere di Paliano, dove fra i due scoppiò anche una lite. E Bellini, incalzato dalle domande, racconta quanto avvenuto nel penitenziario, dove si trovavano diversi collaboratori di giustizia. «Santino Di Matteo era di seconda fascia e io di prima fascia», dice la Primula Nera, spiegando che si tratta della differenza fra un collaboratore privo di programma di protezione e un collaboratore con programma di protezione. «Io ero già a Paliano da svariato tempo e un giorno è arrivato un signore da un altro istituto che poi ho saputo fosse Santino Di Matteo. Io non lo avevo mai visto prima e ci siamo conosciuti in questo istituto. E a me come lui sia arrivato lì che non aveva la prima fascia... anche perché io feci parecchie volte la domanda ad andare all’Istituto di prevenzione pena dei collaboratori a Pescara, mi fu sempre rifiutata perché ero di prima fascia e non di seconda fascia».

È sul litigio e sulla morte del boss di Altofonte, Nino Gioè – che Bellini conobbe nel carcere di Sciacca nel 1981 quando era latitante con il falso nome brasiliano Roberto Da Silva – che vengono chiesti chiarimenti. «Chi si ricorda cosa ci siamo detti, comunque cose irrisorie – afferma il killer reggiano sulla lite – non abbiamo mai parlato di processi non ha mai parlato di cose di processi». Poi aggiunge: «Siamo stati in stanza insieme per un lungo periodo e abbiamo avuto una discussione forte che a un certo punto ci hanno dovuto dividere e mandare uno in una sezione e uno in un’altra». Il motivo? «La discussione era per fatti televisivi e di dichiarazioni personali non inerenti a processi». La Primula Nera spiega che «di processi in carcere non si parla con nessuno, né dei tuoi di quelli degli altri, soprattutto nei collaboratori. E con lui non ho mai parlato di processi, non abbiamo mai parlato di fatti processuali. L’unica cosa che lui aveva detto, ma parlando di Nino ma è stato un giorno solo perché i discorsi poi vengono troncati subito, sul fatto che “tu forse se riuscivi a vederlo magari riuscivi a recuperarlo” nel senso di fargli “saltare il fosso”. E lì si interruppe il discorso fra me e lui e non si è mai più parlato di niente di quelle cose».

Sull’episodio, torna poi in maniera più approfondita in un secondo momento, chiarendo che l’argomento in questione era l’ipotesi di un pentimento di Nino Gioè, un argomento su cui hanno riacceso recentemente i riflettori diverse procure come Firenze, Caltanissetta e Reggio Calabria: «Era un pensiero suo che parlando con lui forse sarei riuscito a convincerlo a collaborare – dice Bellini riferendosi a Di Matteo – il senso era quello». E poi, citando anche l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo e descrivendolo come «quell’infausta tragedia del bambino» o «questo increscioso episodio della morte del figlio»: «Di Matteo tutti l’hanno sempre preso con le molle, fin dall’inizio tutta la popolazione detenuta di Paliano, perché ci si chiedeva come mai una persona che è di seconda fascia, cioè privo di programma di protezione, fosse sbarcato a Paliano dove c’è il regime di prima fascia. Non c’è compatibilità fra le due cose, per cui anche in me è nato questo forte dubbio nei suoi confronti. Ecco perché non si parla di cose carcerarie».

Sorge una domanda: «Ma le disse anche lui che aveva sospettato che Gioè, dopo che era stato arrestato, avesse iniziato a collaborare con le forze di polizia?»

«Mi sembra che avesse accennato qualcosa di questo tipo durante la sua permanenza a Rebibbia, mi pare», afferma Bellini, continuando a rispondere alle altre domande sulla sua infiltrazione in Cosa Nostra. 

E.Spa.

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