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Lavoro stagionale dall’estero, meno aiuto del necessario

Lavoro stagionale dall’estero, meno aiuto del necessario

Il decreto flussi delude soprattutto le province dell’Emilia Romagna, poco più di 2mila quote per l’intera estate. Premiata la Campania

15 aprile 2023
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di Stefano Ciervo

Una beffa, più che una delusione. Per gli agricoltori dell’Emilia padana, e i ristoratori del litorale o dell’Appennino, il tanto atteso decreto flussi non ha portato la boccata d’ossigeno sperata in vista di una stagione, sia sul fronte delle campagne di raccolta che del turismo, che si preannuncia tanto impegnativa quanto complessa sotto il profilo della disponibilità di manodopera. Al grido d’aiuto degli imprenditori dei settori a più alto tasso di lavoro stagionale, infatti, il ministero del Lavoro ha risposto con la messa a disposizione di un numero di addetti extracomunitari, da anni una quota molto consistente del totale della manodopera stagionale, che appare largamente insufficiente. Dei 100mila stagionali per i quali ci sarebbe posto solamente tra i filari, a livello nazionale, ne sono infatti stati assegnati poco più di 42mila, ma comprendendo anche cuochi e camerieri. Non fa mezzo gaudio la constatazione che un po’ tutti i territori più bisognosi sono stati ridimensionati: Verona, ad esempio, inserita in un Veneto pure trattato meglio dell’Emilia, aveva stimato un fabbisogno di 4.500 stagionali agricoli, e dovrà fare con 4.722 addetti per il totale dei due settori. Questi apporti si riferiscono soprattutto a piccole e medie aziende, che sperano ora in un secondo round.

Il (piccolo) flusso

I numeri dell’Emilia Romagna sono piuttosto striminziti, e premiano sorprendentemente le province che avevano fatto richieste collettive piuttosto basse, come ad esempio Ravenna, più di altre. In totale vengono messe a disposizione 2.094 «quote per motivi di lavoro subordinato stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero», come vengono definite nella terminologia ministeriale, suddivise in tre categorie: quote lavoro annuale, quote lavoro pluriennale e la novità di questi ultimi flussi, cioè le richieste dirette delle organizzazioni professionali dei datori di lavoro, in sostanza le organizzazioni agricole. Quest’ultima è la quota più consistente, con 1.537 unità, mentre sono 502 le quote ordinarie e solo 55 quelle pluriennali, sulle quali in teoria si potrebbe lavorare per costruire rapporti meno precari e affinare professionalità.

A livello provinciale i numeri più consistenti li raccoglie Piacenza, con 403 quote, utili soprattutto nella raccolta del pomodoro, seguita da Modena con 317 quote (preponderante la componente agricola) e Forlì-Cesena. Raccoglie 227 quote Ferrara, ben al di sotto delle necessità, mentre Reggio Emilia è fanalino di coda a livello regionale con appena 31 quote. Anche Parma ha numeri bassi, 74 quote, e certo può influenzare questi risultati la preponderanza in questi territori di aziende di grandi dimensioni che attivano canali diretti per il fabbisogno di stagionali, piuttosto che passare per le associazioni di categoria. Di certo i flussi non sembrano essere influenzati dalla dimensione delle economie provinciali, visto che Bologna raccoglie solo 274 flussi.

Il resto

Basta attraversare il Po per vedere numeri un po’ più consistenti: il Veneto ha ottenuto appunto oltre il doppio delle quote emiliane, grazie soprattutto al Veronese con gli esercizi del Garda e i filari della Valpolicella. In generale si può però affermare che sono alcune regioni del Sud a fare il pieno, due in particolare: Puglia e soprattutto Campania. Colpiscono le assegnazioni di quest’ultima, fuori scala rispetto al resto d’Italia, grazie alle grandi campagne di raccolta del pomodoro: 18.447 quote, nessuna delle quali pluriennale, per due terzi concentrate nella provincia di Napoli. La Puglia può invece contare su quasi 3.500 stagionali. l

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