I giovani e le abbuffate di alcolici: «Bevono per sentirsi accettati»
Lo psicoterapeuta Valgimigli: «Con lo sballo cercano di diventare persone diverse»
Reggio Emilia Minorenni che bevono con il preciso intento di ubriacarsi, facendo fuori oltre cinque cocktail in poche ore. Queste “abbuffate alcoliche” sono note con il nome inglese di binge drinking e stanno preoccupando parecchio il Servizio dipendenze patologiche dell’Ausl di Reggio Emilia, che nel 2022 – tra l’altro – ha preso in carico un numero doppio di ragazzi (soprattutto) e ragazze tra i 18 i 24 anni con dipendenza da alcol. Del nuovo modo di bere dei giovanissimi abbiamo parlato con lo psicoterapeuta Roberto Valgimigli, che ha il suo studio a Reggio Emilia e a Modena coordina il centro diurno per l’infanzia e l’adolescenza “Il nespolo”, seguendo la fascia d’età 13-18 anni.
Dottore, cosa può dirci di questo fenomeno?
«Che nelle nostre parti è diventato una moda seguita in egual modo da ragazzi e ragazze minorenni. Nella storia dell’Italia non è certo la prima volta che sentiamo parlare di adolescenti che fanno serata e bevono troppo ma c’è una importante differenza con il presente: oggi bevono tante cose nell’arco di poco tempo perché hanno bisogno di passare subito “da dottor Jekyll a Mr Hyde”. Molti ragazzi sono spinti dalla paura perché sentono che potrebbero non piacere per quello che sono in realtà: allora si sballano, cercando di diventare persone diverse».
Questa è una considerazione da specialista o sono gli adolescenti che segue a confidarglielo? In altre parole: ne sono consapevoli?
«Il punto è proprio questo: lo sanno. Bevono molto per negare il proprio “io”, su cui viaggia la società di oggi. E se questo “io” non piace, se porta un giovane a dire “sono inadeguato”, allora il tentativo sarà quello di cercare di essere qualcun altro. Hanno i loro miti, che magari sono i “famosi” che hanno tanti soldi piuttosto che lo youtuber che si è inventato qualcosa. L’alcol diventa lo strumento per ovviare le difficoltà, noia compresa. Poi c’è un altro elemento: la divisione tra chi beve molto e chi fuma le canne, che si gioca sull’identificazione sociale».
È una questione di status?
«Mi spiego, per avere molto alcol ci vogliono molti soldi: non tutti i ragazzi possono permettersi cinque cocktail in una serata. Berli significa dire “io me lo posso permettere”. L’alcol è l’immagine della società del benessere. Al contrario, la canna offre un tipo di socialità diversa: per la stessa idea di condivisione del passarsela l’un l’altro. I ragazzi che fumano le canne non lo fanno più per sballarsi ma a scopo lenitivo per gestire l’ansia, le pressioni, la paura».
Dove avvengono queste “abbuffate alcoliche”?
«Nelle discoteche ma anche in locali specializzati nei cocktails e pub dove è facile evadere alla necessità di essere maggiorenni per potere bere alcolici: li ordinano gli amici maggiorenni, che poi li passano. Poi anche tutti i luoghi di ritrovo dei ragazzi, case comprese. E quest’ultimo punto implica il non controllo degli adulti, che dovrebbero vigilare».
Cosa ci dice dell’uso di psicostimolanti associato al consumo di alcol? Lo riscontra tra i ragazzi che segue?
«Assolutamente sì. Magari sono facilmente reperibili in casa perché li prendono i genitori. I ragazzi ormai ne conoscono gli effetti e li utilizzano insieme all’alcol per amplificare lo sballo. Come dicevo prima, lo fanno per trovare la risoluzione immediata a un determinato bisogno. Ad esempio il Covid ha incrementato le richieste prestazionali verso i ragazzi, che si sentono sempre più inadeguati. Non è un caso che molti liceali facciano binge drinking: le richieste scolastiche talvolta li portano a credere di aver poco tempo per il divertimento e che dunque questo vada ottimizzato con qualcosa di rapido senza riuscire a immaginare gli effetti. Io sono convinto che un grosso aiuto potrebbe essere dato dai professori. Ai ragazzi serve più ascolto, bisogna avere “grandi orecchie”».l
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