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Il processo

Affidi illeciti in Val d’Enza: «Relazioni usate come arma per tenere i bimbi lontani da casa»

Ambra Prati
Affidi illeciti in Val d’Enza: «Relazioni usate come arma per tenere i bimbi lontani da casa»

Al maxi processo ha deposto il carabiniere che svolse le indagini: «Le sedute di psicoterapia hanno orientato le indagini»

18 aprile 2023
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Reggio Emilia «Le sedute di psicoterapia hanno orientato le indagini». A riferirlo, ieri in tribunale a Reggio nel maxi processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza con 17 imputati, è stato il maresciallo capo del Nucleo Investigativo dei carabinieri Giuseppe Milano. La deposizione fiume del primo testimone dell’accusa – colui che guidò l’inchiesta – ha occupato un’altra intera giornata.

Stavolta ci si è concentrati sul meccanismo che, secondo il quadro del pm Valentina Salvi, consentiva agli imputati di tenere i bambini in affido tramite nuove relazioni: un fiume di relazioni, su presunti abusi sessuali sempre nuovi, che venivano utilizzate contro i genitori naturali (nella stragrande maggioranza dei casi ignari) e inoltrate alla magistratura – con motivazioni del tipo «il bambino deve elaborare il lutto, ci vuole tempo per far emergere i ricordi» – per aggravare la posizione della famiglia naturale e impedire che il Tribunale dei Minorenni di Bologna concedesse un annullamento dell’affido temporaneo. Un meccanismo perverso, che secondo l’accusa veniva alimentato con il concorso di vari professionisti (assistenti sociali, psicoterapeuti, avvocati e così via), come indicherebbero le chat, i messaggi e le mail.

Esemplare, da questo punto di vista, è uno dei casi pilota: un bambino strappato ai genitori – tra l’altro gli unici sempre presenti in aula e ieri assenti – ai tempi della scuola materna per «atteggiamenti sessualizzati» e per presunti abusi da parte del padre (ora il minore è tornato a casa).

Secondo l’accusa, i ricordi del bambino erano falsati. Come quando, in una seduta – ha raccontato Milano – il piccolo riferisce che una volta la madre gli ha mostrato atti masturbatori; in un’altra seduta, addirittura che la madre lo avrebbe coinvolto in questi atti sessuali. “Rivelazioni” per l’accusa false e indotte, che però venivano messe nere su bianco nelle relazioni di Francesco Monopoli, l’assistente sociale braccio destro dell’ex dirigente Federica Anghinolfi.

Nella relazione veniva scritto che «non stupisce» che questi nuovi ricordi siano emersi dopo un colloquio protetto con la mamma. Difatti i colloqui venivano sospesi.

I genitori naturali poi vinsero un round davanti al tribunale di Reggio e, secondo Milano, tra gli imputati si diffuse «la preoccupazione che il Tribunale dei Minori si accodasse a quello di Reggio». La soluzione, come mostrano i messaggi mostrati sullo schermo in aula, è sempre la stessa: «C’è il rischio che il bambino torni a casa, occorre preparare subito una relazione».

È l’aprile del 2018, il bimbo aveva già passato due anni in affido: ma è solo al momento dell’incidente probatorio, ha riferito Milano, che i genitori naturali apprendono dagli atti le accuse a carico di entrambi e, che il figlio (all’epoca di 8 anni) avrebbe ricevuto abusi da un 17enne cugino delle affidatarie. Un nuovo presunto abuso, sul quale gli imputati da un lato minimizzano («non siamo preoccupati», «sono due abusati che si sono incontrati») e dall’altro lato colgono l’occasione per rincarare la dose («il minore ha bisogno di psicoterapia» e di altri «giochi» simulati). Una ridda di accuse gravissime, una situazione di fronte alla quale perfino le affidatarie capitolano: alla fine, ha riferito il carabiniere, «l’affidataria disperata dice di essersi rovinata la vita, di essere stata picchiata dal minore e di voler rinunciare». l