I Chiostri di San Pietro cuore pulsante del festival
Ospiteranno numerose e interessanti mostre e altrettanti sguardi sull’Europa
Reggio Emilia Cuore di Fotografia Europea, ancora una volta, si confermano i Chiostri di San Pietro con numerose e interessanti mostre e altrettanti sguardi sull’Europa.
Mónica De Miranda, con il progetto “The Island”, vuole fare conoscere e svelare le storie e le culture africane nella loro autonomia e diversità. La serie mette in discussione le nozioni standard di identità basate sulle categorie di razza e genere, attraverso una contro-narrazione costruita dalle complesse biografie che si intersecano.
Jean-Marc Caimi & Valentina Piccinni sono presenti con “Güle Güle”(arrivederci in turco. È una personale rappresentazione di Istanbul e di quelli che sono i profondi cambiamenti che stanno interessando la città e la società turca. La gentrificazione, la critica situazione in cui vertono le classi sociali più deboli, la crescente discriminazione della comunità Lgbtq+, il massiccio flusso migratorio dei rifugiati siriani e l’endemica problematica curda, sono solo alcune delle realtà che si celano dietro i soggetti ritratti.
Porta la firma di Simon Roberts “Merrie Albion & The Brexit Lexicon”. Uscito sulla scia del trionfo nazionalista della Brexit, Marrie Albion fotografa il Regno Unito, offrendo spunti di riflessione indispensabili sulle nozioni di identità e appartenenza e, nello specifico, su cosa significhi essere britannici in questo momento cruciale della storia.
In mostra The Archive of Public Protests con “You will never walk alone”. Una raccolta di immagini che costituiscono un monito contro il crescente popolarismo e la discriminazione nel senso più ampio del termine: xenofobia, omofobia, misoginia, crisi climatica.
“Parallel Eyes” è il progetto multimediale di Alessia Rolloche mira a riconsiderare in termini visivi e sociologici la costruzione dell’identità culturale dell’Italia Meridionale.
“Bilateral” di Samuel Gratacap riecheggia il passaggio degli esuli nell'Italia meridionale e nelle Alpi, mostrandolo o suggerendolo, cercandone le tracce.
“Odesa” è la mostra di Yelena Yemchuk: da bambina, cresciuta a Kiev, Yelena era affascinata dalla reputazione di Odesa come luogo libero durante l’epoca sovietica. La città sembrava piena di contraddizioni: “Un luogo di goliardia e personaggi, popolato da fuorilegge e intellettuali”. Questo lavoro è l’ode visiva di Yemchuk alla città.
Geoffroy Mathieu, con “L’Or des ruines” segue i raccoglitori alla ricerca di prodotti naturali, ai margini delle aree coltivate o negli spazi incolti. Che sia per la precarietà o per avere un rapporto più diretto con la natura, la pratica della raccolta, per quanto marginale, è per Mathieu un’occasione di osservazione antropologica.
Cédrine Scheidig con “De la mer à la terre” rivela le connessioni tra due territori e gli immaginari dei loro abitanti. Prendendo le distanze dalla fotografia documentaria, Cédrine Scheidig posa uno sguardo soggettivo e poetico sui giovani sia in Francia che in Martinica.
Per finire Sabine Weiss e “Una vita da fotografa” a cura di Virginie Chardin. La mostra è prodotta da Atelier Sabine Weiss e da Photo Elysée con il supporto di Jeu de Paume e Les Rencontres d'Arles e il patrocinio del Consolato generale di Svizzera a Milano. Sabine Weiss (1924-2021) attraverso stampe originali, documenti d’archivio e estratti di film, delinea il ritratto di una fotografia ispirata da un’insaziabile curiosità per l’altro, sia in Francia come in quasi tutti i paesi europei, negli Stati Uniti e in Asia, dove continua a viaggiare fino al termine della sua vita.