Il procuratore Paci: «Mafia, si recuperi fiducia tra cittadini e istituzioni»
Il procuratore Paci alla serata dedicata al sindacalista La Torre: «Nei nostri uffici siamo sensibili a ciò che ci viene rappresentato»
Reggio Emilia «Qui c’è un grande desiderio di conoscere, di capire, approfondire, studiare, rendersi conto di come sia stato possibile che la ’ndrangheta arrivasse anche al nord. Non solo in Emilia, ma in tutto il nord, così diverso dal sud: ci si chiede com’è potuto accadere che politici chiedessero voti agli ’ndranghetisti. Fermo restando che c’è ancora tantissimo da fare, occorre chiedersi perché tutto quello che le indagini producono non viene percepito da chi questo territorio lo vive. Mi auguro che non si corra il rischio che le indagini siano sottovalutate».
Parola del procuratore Gaetano Calogero Paci, relatore alla serata dedicata al politico-sindacalista siciliano Pio La torre, al centro sociale Sergio Stranieri di via Luigi Sturzo, giovedì.
Dopo un filmato e l’intervento introduttivo, da remoto, di Vito Lo Monaco, presidente onorario della Fondazione Pio La Torre, il procuratore Paci ha risposto alle sollecitazioni del giornalista della Gazzetta di Reggio, Tiziano Soresina – autore del libro “I mille giorni di Aemilia”, sul più grande processo di mafia nel nord Italia – e di Tiziana Fontanesi, coordinatrice dell’associazione “Reggio, diritti e libertà”.
“Pio La Torre: storia di una vita consacrata alla lotta alla criminalità organizzata”: questo il titolo della serata, durante la quale il procuratore ha snocciolato numerosi aspetti, anche poco conosciuti, del profondo impegno di Pio La Torre nel combattere la mafia sicula. E si è parlato delle ricadute locali dell’impatto della criminalità organizzata.
Tra gli effetti prodotti dalla presenza dei clan, come testimoniato dal giornalista Soresina, c’è la paura di ripercussioni in caso di denuncia di un reato o di mancanza di adesione alle richieste della criminalità organizzata.
«La paura è un campanello di allarme serio, che va preso in considerazione – annota il procuratore –. È dettata anche dalla scarsa fiducia verso il sistema istituzionale. Se è così, ci dobbiamo interrogare tutti: dalla magistratura alle forze dell’ordine, per capire se stiamo facendo, fino in fondo, la nostra parte. Quest’atmosfera è indicativa di una comunità che vive ancor oggi un condizionamento mafioso».
Il procuratore invita ad analizzare il patto di fiducia che deve caratterizzare i rapporti fra cittadini e istituzioni: «È un rapporto che, anche qui, ha subìto diversi scossoni per varie vicende e ci obbliga a recuperare. L’episodio in cui viene riferito della paura di un cittadino che teme che gli venga bruciata la macchina è indicativo. Nei nostri uffici siamo attenti e sensibili a cogliere qualsiasi situazione che sul territorio ci venga rappresentata. Non mi stanco mai di dire che siamo pronti a recepire qualsiasi segnale in ogni forma ci venga espressa».
Sulla polemica sollevata in seguito alle dichiarazioni dell’ex magistrato antimafia Roberto Pennisi – il quale, in più occasioni, ha rivelato che ai tempi di Aemilia “la Procura non indagò i politici Pd” – il procuratore si limita a bocciare le operazioni di “revisionismo” e a non mettere in discussione “le certezze maturate dal lavoro fatto”, pur nella consapevolezza che non si debba mai smettere di indagare.
Tra gli aspetti messi in evidenza da Tiziana Fontanesi c’è la delicata questione della Consulta per la legalità, dalla quale, nei mesi scorsi, sono usciti le Agende Rosse, il sindaco di Castelnovo Monti (Enrico Bini, noto per il suo impegno antimafia) e la docente universitaria Stefania Pellegrini. «Noi, qui a Reggio Emilia, siamo stati tra i primi a dare vita alla consulta per la legalità – chiosa Fontanesi –. Consulta che si è riunita qualche settimana fa: in quell’occasione il prefetto ha invitato i sindaci e tutte le organizzazioni che la compongono a fare la loro parte. Dopo due mesi non abbiamo notato grande vivacità in quest’organizzazione. Abbiamo chiesto di poter entrare nella Consulta con la nostra associazione, “Reggio, diritti e libertà”: ci è stata data una risposta vaga e tuttora siamo in attesa del riscontro definitivo. Organismi come questo dovrebbero essere un presidio in cui anche il cittadino comune possa trovare un ambito in cui chiedere: quando si nota che anche questi strumenti rischiano di morire definitivamente, è negativo».
Sul tema specifico della serata, incentrata su Pio La Torre, il procuratore ha sviscerato più aspetti della vita del politico e sindacalista. «La Torre aveva capito che la lotta contro la mafia deve partire dall’aggregazione popolare – puntualizza Paci –. Deve partire dall’ampliamento degli spazi della democrazia».
Erano gli anni in cui il business dell’edilizia andava a braccetto con quello dell’eroina e La Torre concepì che l’aggregazione del proletariato agricolo attorno al tema della terra era un modo per dare dignità al lavoro e abbattere lo sfruttamento, ma anche un sistema per scalfire i potere mafioso a iniziare dalle campagne. l
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