Gratteri: «Hacker e ingegneri informatici per combattere le nuove mafie»
Il procuratore di Catanzaro lancia l’allarme sulle tecnologie usate dalla criminalità «Servono strumenti più all’avanguardia per “bucare” le piattaforme on line»
i Serena Arbizzi
Reggio Emilia «La lotta alla criminalità organizzata deve dotarsi dell’utilizzo di nuove professionalità in campo tecnologico. La mafia non è un fenomeno statico, ma muta con il cambiamento della società e servono, quindi, mezzi evoluti per combattere il fenomeno che si manifesta sotto molteplici aspetti».
Parola di Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, tra i protagonisti più attesi del festival “Noi contro le mafie”. Gratteri è atteso sabato mattina all’aula Manodori dell’Università di Modena e Reggio Emilia, in viale Allegri. Il suo intervento è previsto alle 10, insieme a quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, in videocollegamento.
Com’è cambiato il modo di comunicare delle organizzazioni mafiose?
«Le mafie sono in grado di farsi costruire delle piattaforme che utilizzano solo loro per comunicare nel mondo. Dobbiamo immaginare che possono utilizzare Whatsapp e Telegram, ad esempio, tramite telefoni cellulari ad hoc, con cui parlano in chiaro da una parte all’altra dell’oceano, che hanno un costo di 3.200 euro e la durata di sei mesi. L’utilizzo della tecnologia da parte di queste organizzazioni criminali, dunque, è molto elevato e cambia in continuazione».
Com’è stato possibile intercettare l’esistenza di questi fenomeni?
«Siamo arrivati a capire come sono cambiate le mafie attraverso, a nostra volta, l’utilizzo di tecnologia evoluta per combattere le organizzazioni criminali. Ma occorre non rallentare il passo, anzi c’è necessità di fare di più tramite strumenti sempre più avanzati».
Ad esempio?
«Gli strumenti tecnologici per combattere la criminalità organizzata devono essere rafforzati. La tecnologia stessa e anche le professionalità a disposizione della lotta alla criminalità organizzata. Si devono assumere hacker, ingegneri informatici, più in generale professionisti che siano nelle condizioni di bucare le piattaforme per monitorare e combattere questi fenomeni. L’Italia può vantare i migliori investigatori del mondo, ma stiamo perdendo know how: chi ha governato non ha investito in tecnologia, non pensando che questo aspetto fosse davvero importante. Questo tema va affrontato adesso, altrimenti saremo in ritardo».
Grande importanza riveste l’utilizzo dei social tra i giovani anche nella criminalità organizzata.
«Sì, come ha documentato la Fondazione Magna Grecia nel suo primo rapporto, in cui è stata analizzata e letta la decrittazione dell’utilizzo dei social da chi appartiene alle organizzazioni criminali, ci sono veri e propri codici. I social vengono utilizzati, soprattutto, dalle nuove generazioni degli appartenenti alla criminalità organizzata che sfruttano queste piattaforme per trasmettere messaggi ben precisi».
Anche le criptovalute sono sotto i riflettori degli investigatori.
«Il punto di partenza è che le mafie non sono delle strutture statiche: si evolvono. Mutano di pari passo con il motore sociale e utilizzano tutto ciò che la tecnologia consente loro di usare. Se, tra qualche mese, uscirà qualche nuovo sistema di comunicazione in campo tecnologico, possiamo essere sicuro che loro lo intercetteranno e sapranno impiegare anche quello. Noi dobbiamo entrare nell’idea che le mafie usano gli stessi strumenti che usa la società civile. Si tratta della mafia di oggi. Una mafia che nella pandemia provocata dal Covid e nella guerra in Ucraina ha trovato nuove opportunità di business, coltivando la propria capacità di porre le sue ramificazioni ovunque e in qualsiasi modo».
L’operazione Aemilia è stata uno spartiacque. Al riguardo l’ex magistrato Roberto Pennisi ha dichiarato che gli fu impedito di indagare su alcuni amministratori di sinistra.
«Non commento il lavoro degli altri. Sono abituato a parlare del mio».
Ormai la sua partecipazione al festival “Noi contro le mafie” è un appuntamento consolidato.
«Sì tratta di un’idea e di un progetto che condivido. Questo festival è ormai una tradizione consolidata che serve a svegliare e coinvolgere le nuove generazioni. Ringrazio dunque dell’invito in una regione e un provincia accoglienti che mi esprimono solidarietà. Saranno momenti tra i giovani e gli adulti in cui spiegheremo la nuova frontiera della lotta alle mafie». l