Il procuratore nazionale antimafia: «Il crimine è padrone del web»
Giovanni Melillo ospite dell’evento conclusivo del festival “Noi contro le mafie”. «Si faticava a pensare che qui ci fossero casalesi e ’ndrangheta. Ora è diverso»
Reggio Emilia «Quand’ero sostituto procuratore alla Direzione Nazionale Antimafia facevo grande fatica a ricevere condivisione, anche in magistratura e tra le forze di polizia, dell’idea che la ’ndrangheta, ma anche le reti d’impresa dell’organizzazione camorristica dei casalesi, fossero profondamente penetrate nel tessuto dell’Emilia-Romagna. In particolare, la ’ndrangheta a Reggio Emilia e i casalesi a Modena. Dopo 20 anni molto è cambiato: il processo Aemilia è stato molto importante».
Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo è stato l’ospite in videocollegamento all’aula magna Manodori, con il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, dell’appuntamento conclusivo del festival “Noi contro le mafie”, il festival della legalità promosso da ben 12 anni dalla Provincia con 29 Comuni e la Regione, con la direzione scientifica di Antonio Nicaso. Un discorso ad ampio raggio, il suo, che ha toccato a più riprese anche la situazione dell’Emilia Romagna.
«Grazie alla capacità di lavorare insieme delle Procure – continua Melillo – ci sono progetti destinati a consolidare risultati. Tutto questo, però, non basta: il contrasto alle mafie coinvolge la responsabilità di politica e funzioni pubbliche. Se si volesse cercare davvero una causa persistente del radicamento delle organizzazioni mafiose occorrerebbe considerare di pari passo lo stato delle politiche abitative, urbanistiche, la difesa ambientale e culturale delle regioni in cui questi fenomeni si manifestano. E quanto sia diffusa l’idea che esista una governance di stile illegale per beni fondamentali, come casa e cibo...».
Il procuratore nazionale invoca una “vigilanza democratica” e si dice diffidente rispetto all’idea di considerare i magistrati un baluardo dell’antimafia perché «rischia di essere fuorviante e deresponsabilizzare altre funzioni pubbliche che hanno invece grandi responsabilità». Ed evidenzia, come già fatto da Gratteri e da Vallone (a capo della Direzione Investigativa Antimafia), come l’Italia necessità di fare passi avanti sull’utilizzo della tecnologia in campo investigativo. «Siamo ancora in grado di raggiungere risultati importanti grazie a forze di polizia tra le migliori al mondo e a magistrati che sanno lavorare bene e insieme – aggiunge Melillo –, ma alcuni Paesi europei camminano più velocemente sul fronte tecnologico e normativo. Qui abbiamo assistito a un dibattito deprimente e anacronistico sulle intercettazioni: la dimensione digitale è tale da consentire alle mafie di trasferire dati, informazioni e ricchezze in modi impensabili fino a poco tempo fa. Le reti criminali usano il deep web e le criptovalute e dinanzi a tutto ciò il dibattito pubblico si attorciglia intorno al trojan per le intercettazioni, mentre in Francia si sono dotati di strumenti normativi, di cui avremmo urgente bisogno, per accedere agli ambienti cibernetici con un concetto delle intercettazioni molto più ampio e adeguato alla realtà con cui abbiamo a che fare. Questo permette alle autorità francesi di “bucare” le piattaforme criptofoniche, di natura illecita, con tecnologie sofisticate che per legge sono addirittura coperte dal segreto di Stato. Noi abbiamo imparato a usare gli hacker per difenderci e verificare la sicurezza, ma non ancora a scopo offensivo».
Melillo evidenzia come le mafie siano costellazioni di imprese, alleate delle guerre: «Il conflitto in Ucraina viola, certo, ogni norma, ma è anche un luogo dove si sperimentano nuove tecnologie che, finita la guerra, saranno riconvertite a uso criminale».
Il procuratore nazionale antimafia chiude con una riflessione sulla stagione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza): «Se tra qualche anno dovessimo prendere atto che non solo in Italia, ma anche in Europa, una parte significativa del Pnrr, anziché destinarla alle nuove generazioni è nelle mani della criminalità o tra i mille rivoli della corruzione e degli abusi, non soltanto sarebbe stata perduta una gigantesca occasione di progresso economico e sociale, ma la stessa credibilità del nostro Paese sarebbe azzerata».
Presenti nell’aula magna Manodori numerosi ragazzi delle scuole superiori reggiane. Il sindaco Luca Vecchi ha rivolto alle nuove generazioni il suo appello: «Noi contiamo su di voi perché possiate interpretare i valori migliori di queste terre nel continuare ogni giorno a costruire il futuro, perché la capacità di liberarci dalle mafie è sulle spalle della classe dirigente certamente, ma soprattutto sta nel contributo, nel senso etico e nella consapevolezza delle nuove generazioni su cui noi abbiamo grande fiducia».
Il primo cittadino ha anche ricordato come «Aemilia abbia rappresentato uno spartiacque in termini di coscienza e consapevolezza. Dobbiamo muoverci con antenne dritte. Ci siamo dotati di strumenti più invasivi. I protocolli sono un salto di qualità. Mentre le interdittive della prefettura - che ha fatto senz’altro un lavoro straordinario - determinano la mancata iscrizione nella white list, i protocolli hanno consentito di fare un salto di qualità nella lotta alla criminalità organizzata, estendendo il raggio d’azione all’economia privata. Significa che noi mandiamo i vigili nei cantieri – continua Vecchi, usando un linguaggio esplicito –. I titolari si inc... e portano i Comuni in tribunale. Noi abbiamo tenuto e stiamo vincendo questi ricorsi».
Il sindaco ricorda poi come nel Pug (Piano urbanistico generale) appena approvato, siano stati cancellati 5 milioni e mezzo di metri cubi: quasi 4.000 potenziali appartamenti. «Qualcuno – conclude Vecchi – sta portando il Comune in tribunale per vedere ripristinati i diritti edificatori: spesso chi lo fa è anche chi è stato interdetto dalla prefettura».
Il presidente della Provincia, Giorgio Zanni, ha rimarcato l’impegno delle istituzioni reggiane sul fronte della diffusione di una cultura di legalità, ma non solo: «Qui, in questi anni, si è costruito un sistema che funziona e che dimostra che i problemi non si nascondono sotto il tappeto, ma si affrontano a visto aperto. Un sistema istituzionale che parte dall’elevatissimo numero di interdittive emesse dalla prefettura, ma si basa anche sui tanti protocolli di cui ci siamo dotati solo noi in tutta Italia». l