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«Casse di espansione in condizioni pietose, a Lentigione si sapeva della piena»

Ambra Prati
«Casse di espansione in condizioni pietose, a Lentigione si sapeva della piena»

Al processo per l’alluvione del 2017 parla un consulente dell’accusa: «Vegetazione ovunque.Un buon gestore avrebbe dovrebbe fare pulizia e vigilanza: non è stato fatto»

26 maggio 2023
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Brescello «Un buon gestore avrebbe dovrebbe fare pulizia e vigilanza: non è stato fatto». Questo uno dei passagi salienti della lunga deposizione di Alberto Bizzarri, uno dei tre consulenti dell’accusa nel processo sull’alluvione di Lentigione di Brescello.

Quello che accadde nell’alluvione di Lentigione, la notte del 12 dicembre 2017, è impresso nella memoria dei cittadini: il torrente Enza straripò inondando alle prime luci dell’alba la frazione brescellese, causando 1.157 sfollati e 18 milioni di danni. Tra le numerose parti civili, oltre al Comune di Brescello, presenti in aula come sempre i rappresentanti del Comitato cittadino di Lentigione (181 privati parte civile tramite l’avvocato Domizia Badodi). I tre imputati, tutti dipendenti dell’Aipo, sono accusati di inondazione colposa in concorso: si tratta dei dirigenti Mirella Vergnani (difesa dall’avvocato Paolo Trombetti) e Massimo Valente (avvocato Giulio Garuti), il tecnico Luca Zilli (avvocato Amerigo Ghirardi).

Ieri in tribunale hanno continuato a sfilare i testimoni “tecnici” del pm Giacomo Forte. In particolare, il professor Bizzarri è stato chiamato a rispondere a domande specifiche sul funzionamento delle casse d’espansione sull’Enza. Durante l’esame, Bizzarri ha prospettato i due scenari: quello ideale, di una gestione perfetta del sistema con le casse funzionanti che avrebbe evitato l’alluvione a Lentigione, perché non ci sarebbe stata quella portata, e quello che effettivamente accadde, e perché la cattiva gestione è stata determinante.

«L’Enza è sempre stato un corso d’acqua “maligno” e con un bacino piccolo: c’è una memoria storica precisa, si pensi agli anni ’50 – ha spiegato Bizzarri –. Si poteva benissimo prevedere che ci sarebbero stati guai in pianura dopo il primo allarme a Vetto, il pluviometro più credibile: già dal giorno precedente il 12 dicembre ci fu un primo picco, un calo e poi il secondo picco». Quello che provocò il sormonto dell’argine a Lentigione. Prevedibile soprattutto perché, ha detto il consulente, alle casse d’espansione di Montecchio arrivò una portata di «800 metri cubi d’acqua al secondo». Casse che erano «piene di vegetazione, dappertutto, piene di detriti, non manutenute. Sono aspetti rilevanti e visibili a occhio nudo».

Il perché sia mancata, «questo io non lo so. Non so perché sia mancata la vigilanza, magari un difetto organizzativo. Esiste un’abbondante normativa, anche se difficile da applicare per la pluralità di enti, almeno una decina, che devono essere avvisati “in diretta” in caso di allerta». Di sicuro, secondo Bizzarri, «è certamente mancata la sorveglianza dello stato delle opere».

Il consulente ha poi ha spiegato la modalità di vigilanza degli argini: già dal giorno prima si sarebbe dovuta innescare una serie di attività di allerta, come il posizionamento dei sacchi.