L’omicida ha confessato fin da subito, così ha evitato l’ergastolo
Reggio Emilia: pubblicate le motivazioni della sentenza del femminicidio di Cecilia. Mirko Genco ha collaborato con gli investigatori e a processo
Reggio Emilia Ha reso una «piena confessione», senza contare «la collaborazione processuale che è stata coerente» e «il disturbo antisociale» della personalità. «Se Genco sia pentito o no è affare solo suo, non della giustizia umana». Così, nella motivazione della sentenza per il femminicidio del parco di via Patti, la corte d’Assise presieduta dal giudice Cristina Beretti (a latere Giovanni Ghini) spiega perché non ha comminato l’ergastolo – come chiesto dal pm Maria Rita Pantani – a Mirko Genco.
Nella notte tra il 19 e il 20 novembre 2021 il parmense di 26 anni abusò sessualmente per due volte, strangolò poi finì a coltellate Juana Cecilia Hazana Loayza, mamma di origini peruviane di 34 anni con la quale aveva avuto una breve relazione e che stalkerizzava.
Il 4 marzo 2023 il processo a Genco si è concluso con una condanna a 28 anni e 3 mesi di carcere per l’omicidio volontario, il porto abusivo d’arma, la violenza sessuale, la violazione di domicilio e l’evasione. Ma ritenendo «le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti (futili motivi, recidiva nello stalking e minorata difesa)» il collegio giudicante ha escluso l’applicazione dell’ergastolo. Un altro anno di carcere per le evasioni in ottobre. Assolto invece dal tentato omicidio (lo strangolamento prima delle coltellate, secondo la corte «un’azione sola e un solo reato» compreso nell’omicidio) e rapina (per aver preso le chiavi dalla borsa di Cecilia per salire in casa e prendere il coltello da cucina).
Scrive il giudice che Genco, «fonte insostituibile», «rende tre racconti solo marginalmente diversi nelle spontanee dichiarazioni ai carabinieri, nell’interrogatorio davanti al pm e nell’esame». «Osserviamo subito che il migliore è senz’altro il primo», il verbale riportato per intero, con un lucido racconto di cosa stia passando per la testa del 26enne.
«Si arriva così alla questione più dibattuta, forse l’unica veramente dibattuta del processo e senz’altro la più gravida di conseguenze: merita o non merita le attenuanti generiche? Riteniamo senz’altro di sì, per due ragioni. Prima di tutto: la confessione. Per Genco parlare di semplice confessione suona riduttivo: le indagini prendono avvio alle 9.35 del 20 novembre 2021», quando un cittadino che porta a spasso il cane trova il cadavere nel parco della Polveriera. «Alle 13.10, quando si apre il verbale, (le indagini) sono concluse, perché Genco il suo racconto l’ha già fatto e si tratta solo di metterlo su carta, anzi ha cominciato a farlo fin dal tragitto verso gli uffici», come testimonia un maresciallo.
«Data la naturale prevalenza dichiarativa» è proprio il racconto del 26enne la base, rispetto «al filone indiziario (accertamenti tecnici, filmati delle telecamere e l’audio del cellulare)» che non fanno che confermare.
«Non è tutto, perché la collaborazione processuale è proseguita in perfetta coerenza nel dibattimento, dove la difesa» – cioè l’avvocato Alessandra Bonini – «ha consentito, esplicitamente o implicitamente, alla lettura di numerosi atti di indagine o addirittura l’ha proposta». Genco poi, capace di intendere e di volere, «oltre a un lieve ritardo mentale, ha un disturbo della personalità», «tanto grave da poter essere classificato come psicopatia» e derivante dai traumi infantili (la madre assassinata dal compagno). l