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Telefonò in redazione alla Gazzetta: «Una frase di valenza minacciosa»

Telefonò in redazione alla Gazzetta: «Una frase di valenza minacciosa»

Reggio Emilia: le motivazioni della condanna (6 mesi e 20 giorni) di Alfonso Mendicino

31 maggio 2023
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Reggio Emilia «Gli indizi emersi sono caratterizzati da gravità, precisione e concordanza e sono idonei a provare l’esistenza del delitto e la sua attribuibilità all’odierno imputato. La frase pronunciata dall’imputato “se non arrivo con le denunce arrivo con le mani” riveste di per sé un’effettiva valenza minacciosa che viene ancor più aumentata in considerazione dello specifico contesto in cui era esternata (in pendenza del noto processo Aemilia nel quale Mendicino era imputato)». Con questa motivazione il giudice Silvia Semprini ha messo nero su bianco perché il 47enne Alfonso Mendicino sia stato condannato in primo grado a sei mesi e 20 giorni di reclusione per una telefonata minatoria alla Gazzetta nella quale pretendeva che un articolo fosse rimosso dal web, (per Aemilia sta scontando una condanna definitiva a 6 anni e 8 mesi per il concorso in un’estorsione aggravata dal metodo mafioso).

Secondo il giudice «i numerosissimi, anche gravi, precedenti specifici (che escludono le attenuanti generiche ed escludono di attestare la pena sul minimo edittale)», con l’aggiunta della recidiva, ha portato al calcolo della condanna, perfino superiore alla richiesta del pm Valentina Salvi. Mendicino è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali e di una provvisionale alle parti civili (difese dall’avvocato Orietta Baldovin): 5mila euro per il giornalista Evaristo Sparvieri e 6.500 euro per l’allora direttore Stefano Scansani.

Il 20 gennaio 2017 l’artigiano edile Alfonso Mendicino, riferendosi ad un articolo su un suo arresto, prese di mira non solo chi rispose a quella chiamata (Evaristo Sparvieri), ma l’intera redazione. L’articolo, pubblicato sul nostro sito, era intitolato “Guida con la patente del cugino: sorvegliato speciale arrestato a Correggio”. Nell’articolo si riferiva che Mendicino era stato arrestato perché – benché sottoposto alla sorveglianza speciale – era stato sorpreso alla guida con la patente del cugino, alla quale aveva messo una sua foto. Un articolo non gradito dal 47enne, che decise di telefonare alla Gazzetta per farlo rimuovere: «Se non arrivo con le buone – rimarcò – arrivo con le mani». Minaccia a cui il nostro giornale reagì con fermezza. L’articolo non venne rimosso, la telefonata venne registrata e l’ex direttore della Gazzetta, Stefano Scansani, decise di denunciare Mendicino a nome della redazione per minacce gravi. Del resto, su Mendicino si erano concentrate fior di polemiche già l’anno prima, quando aveva pubblicato video in rete in cui si scagliava senza troppi giri di parole contro i reggiani, per poi chiedere una preghiera per i cutresi in carcere, molti dei quali arrestati sulla scia di Aemilia.

In tribunale sono sfilati come testimoni il cronista Sparvieri, l’ex direttore Scansani, il giornalista Davide Bianchini (direttore di Reggionline, che aveva ricevuto da Mendicino una telefonata dello stesso tenore, finita agli atti del procedimento) e il maresciallo dei carabinieri Cristian Gandolfi, secondo il quale la voce era «immediatamente riconoscibile perché era da giorni che Mendicino pubblicava sul proprio profilo Facebook col nome “Leone Mendi” tutta una serie di video con epiteti nei confronti della cittadinanza reggiana e del sindaco di Reggio Emilia». L’avvocato difensore di Mendicino, Mattia Fontanesi, ha già annunciato che farà appello. l

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