Gazzetta di Reggio

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Il caso a Palazzo di giustizia

Spiava l’inchiesta della procura, condannata l’addetta del tribunale

Tiziano Soresina
Spiava l’inchiesta della procura, condannata l’addetta del tribunale

Reggio Emilia: accesso informatico e rivelazione di segreto. La donna seguiva l’indagine sul coach di basket accusato di pedofilia: per lei, sentenza ribaltata in Appello dopo l’assoluzione in primo grado

08 luglio 2023
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Reggio Emilia Ribaltata in Appello con una sentenza di condanna. Si tratta di una vicenda di quelle delicate, perché coinvolge il nostro palazzo di giustizia, in quanto i tre mesi di reclusione (ma con pena sospesa e non menzione) sono stati inflitti in secondo grado alla 57enne Tiziana De Mitri che tuttora lavora in Procura ed è stata ritenuta responsabile di due imputazioni: accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione del segreto d’ufficio. Accuse pesanti per una dipendente del foro reggiano (assunta trent’anni fa) e c’entra proprio la Procura.

Il caso risale al 2015 ed è legato infatti ad un’inchiesta che fece scalpore, vale a dire l’arresto, per violenza sessuale su minore, di un coach di pallacanestro incensurato che aveva abusato di un giocatore 15enne che andava a casa sua a fare i compiti.

De Mitri è amica della moglie del coach sotto inchiesta e quando la pm Maria Rita Pantani – che ha coordinato l’indagine – si accorse di alcuni accessi informatici al fascicolo (all’epoca in fase di indagini preliminari, non era ancora scattata la misura cautelare) eseguiti da qualcuno che aveva le credenziali, si inalberò. I sospetti diventarono certezza quando, ascoltando le telefonate intercettate della moglie dell’imputato, la pm Pantani si rese conto che si trattava della 57enne, che all’epoca era all’Ufficio Citazioni a Giudizio e aveva le credenziali per svolgere – senza limiti di sorta – attività diverse dalla consultazione dei fascicoli. Quanto raccolto sul piano investigativo finì sul tavolo della pm Giulia Stignani che indagò la dipendente pubblica per poi portarla a giudizio con le due accuse citate.

Un procedimento chiusosi – nel febbraio 2022 – con l’assoluzione dell’imputata difesa dall’avvocato Enrico Della Capanna. Sentenza assolutoria emessa dal giudice Matteo Gambarati.

Ma la Procura ha impugnato e di recente la Corte d’appello di Bologna – terza sezione penale – ha rovesciato il verdetto di primo grado.

Il sostituto pg Silvia Marzocchi aveva chiesto sei mesi di condanna, mentre l’avvocato Della Capanna l’assoluzione della sua assistita.

«Farò ricorso in Cassazione – spiega il difensore, contattato dalla Gazzetta – perché rimango convinto che l’atto di appello presentato dalla pm Giulia Stignani sia inammissibile: non si misura sulle motivazioni della sentenza di primo grado, ma si rifà in larga parte solo alla memoria che il magistrato depositò nel processo al termine della requisitoria. Se quell’atto fosse stato vergato da un avvocato ne sarebbe emersa l’inammissibilità, invece...».

Poi Della Capanna rimarca come la decisione assolutoria emessa dal giudice Gambarati a Reggio Emilia «sia perfetta sul piano giuridico e dell’equilibrio, cita sentenze della Corte Costituzionale (una specifica del 1988), della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Cassazione (il riferimento è a un verdetto del 2018)».

Per l’accusa De Mitri, accedendo più volte al fascicolo, commise un atto grave e almeno in un’occasione rivelò degli aspetti dell’indagine. Di diverso avviso Della Capanna: «La dipendente agì in buona fede, ha sempre svolto il suo lavoro con dignità e decoro. Mi dispiace molto per questa situazione che mi ha afflitto come poche volte in carriera». Ora la parola passa alla Cassazione.