Gazzetta di Reggio

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Da Castelnovo Monti allo Spantik L’impresa dell’alpinista Anceschi

Adriano Arati
Da Castelnovo Monti allo Spantik L’impresa dell’alpinista Anceschi

Ha raggiunto quota 7mila metri su una delle cime del Karakorum pakistano «Siamo partiti con trentacinque portatori, quattro asini e dieci galline»

11 settembre 2023
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Castelnovo Monti Quota 7.000 raggiunta. È un traguardo non per tutti quello toccato da Emanuele Anceschi, 41enne appassionato alpinista di Castelnovo Monti che poche settimane fa ha toccato la vetta del monte Spantik, a 7.027 metri di altitudine sul livello nel mare, una delle cime del Karakorum pakistano nella regione del Baltistan. Non è la prima straordinaria scalata per Anceschi, da sempre grande viaggiatore – ha scritto anche un libro al riguardo – e amante della montagna, che già in passato ha affrontato salite di questa portata. Le difficoltà sono state parecchie, per il notevolissimo sforzo fisico richiesto, con mesi di allenamento preparatorio alle spalle, e per la logistica non sempre fatta in una delle regioni più rurali del Pakistan.

«Bisogna arrivare a Skardu e poi dopo 5 ore di jeep si arriva a Arandu, piccolo villaggio di pastori e portatori. Già il viaggio in fuoristrada è pericoloso perché la strada è sempre strapiombante. Arrivati a Arandu comincia il trekking di 3 giorni che porta al campo base dello Spantik. Si raggiungono piccolissimi insediamenti estivi di pastori, e poi si attraverso il ghiacciaio Chogo Lungma», racconta Anceschi. Ogni tappa prevede tra le cinque e le sei ore di camminata giornaliera, con fermate al campo base a circa 4.200 metri di altitudine. Dopo il primo giorno di acclimatazione in cui si riposa proprio al campo base, cominciano le rotazioni verso i campi più alti, con il campo 1 sui 5.100 metri, il campo 2 a quota 5.700 metri e il campo 3 che conduce a 6.300 metri. In ogni occasione, si risale e poi si torna a dormire in basso, alla fermata precedente, per favorire l’acclimatamento. L’ultimo passo è la vetta.

«Lo Spantik, che significa “piccolo giardino” per via del suo campo base che ha sempre fiori ed è sempre verde, non è difficile tecnicamente. Il suo problema sono la neve alta e profonda ed essendo comunque un 7.000 metri alcuni tratti richiedono la corda fissa. Dalla sua cima nelle giornate di tempo nitido si può vedere il K2», spiega Anceschi. E l’idea di vetta non difficile è sempre da parametrare a un monte con quelle caratteristiche e quell’altitudine. «È comunque una scalata molto estenuante per la lunghezza tra i vari campi. Il giorno della vetta abbiamo camminato per sedici ore (partiti a mezzanotte e arrivati alle 18 a campo 3). Il giorno dopo da campo 3 a campo base altre dodici ore». Un impegno pesante a cui aggiungere, nel caso dell’alpinista castelnovese, anche qualche fastidio di salute certo non raro durante simili attività. «Ho avuto un problema di dissenteria i primi quattro giorni ed ero vicino a mollare tutto. Non mangiavo ne bevevo. Poi il mio compagno di scalata (un dottore pakistano) mi ha fatto degli antibiotici che mi hanno fatto riprendere rapidamente», rivela. Così, ha potuto riprendere la marcia: «A parte i tratti di corda fissa in cui si usa lo jumar (o ascensore) la difficoltà sono le lunghissime camminate con neve che arriva sopra al ginocchio che richiedono uno sforzo davvero importante».

Alla fine, la cima è stata toccata: «Non tutti i gruppi presenti sono riusciti ad arrivare in vetta, vuoi per scarsa acclimatazione vuoi per la troppa fatica». Il tutto, curiosità, come unico europeo presente. «Facevo parte di un team di sei pakistani e io. Tre eravamo gli scalatori (io, il dottore pakistano e un altro pakistano) più i nostri tre portatori di alta quota sempre pakistani. Ero quindi l’unico italiano e straniero del gruppo. La spedizione sembrava quella di altri tempi. Partiti con trentacinque portatori, quattro asini e dieci galline. Al campo base cucina con cuoco, aiuto cuoco», sorride Anceschi ricordando le settimane nel Karakorum. l