Gazzetta di Reggio

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L’eredità contesa

«Lusetti imitò la grafia di Agazzani e si indicò come erede»

Ambra Prati
«Lusetti imitò la grafia di Agazzani e si indicò come erede»

Le motivazioni della sentenza di primo grado sull’eredità contesa del critico d’arte. Il 44enne condannato a un anno per falsità in testamento olografo, secondo il giudice «agì in modo quasi professionale. Capacità a delinquere elevata»

14 ottobre 2023
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Reggio Emilia  «Nessun’altra persona vicina ad Alberto Agazzani – e in possesso di scritture autografe da imitare – avrebbe avuto interesse a indicare Lusetti erede se non Lusetti stesso». Lo scrive il giudice Matteo Gambarati nelle motivazioni del processo sulla contestata eredità dello stimato critico d’arte, giornalista e dandy conosciutissimo negli ambienti culturali, trovato morto a 48 anni il 16 novembre 2015 nella sua casa in via Farini a Reggio.

Due i testamenti di Agazzani: il primo, datato 2014, in cui nominava come erede l’amico Carlo Malvolti (che rinunciò all’eredità) e il secondo, del gennaio 2015, in cui appariva – a sorpresa per l’entourage di amici che restò accanto ad Agazzani nell’ultimo periodo – Marco Lusetti, 50 anni, ex vicesindaco di Guastalla. Lusetti è finito alla sbarra per falsità in testamento olografo e per truffa per essersi impossessato di libri d’arte, vestiti, scarpe firmate, una pelliccia, stampe, quadri e dipinti «ai danni della sorella Daniela Agazzani e traendo in inganno il notaio Giorgia Manzini». È stata proprio la sorella ad avanzare dubbi sulla firma, a suo avviso fasulla, al notaio. Il 13 luglio scorso Lusetti (per il quale il pm Maria Rita Pantani aveva proposto due anni e quattro mesi, l’avvocato difensore Erica Romani l’assoluzione) è stato condannato a un anno (pena sospesa) per la falsità e assolto dalla truffa. Premesso che «esula da questo processo il profilo delle cause di morte di Agazzani e allo stesso tempo non è necessario individuare con certezza il movente», il giudice ha chiarito il conteggio della pena. La pena base sarebbe stata di un anno e mezzo; «in ragione delle modalità dell’azione, quasi di carattere professionale, e della capacità di delinquere, all’evidenza elevata», niente attenuanti generiche, sì alla sospensione condizionale della pena ma con menzione sulla fedina penale («è bene che di tale condanna resti traccia in un’ottica di prevenzione speciale»).

«Indizi gravi, precisi e concordati» sulla responsabilità di Lusetti, secondo il giudice, sono emersi dal mix di analisi scientifiche e dichiarazioni testimoniali, tra i quali l’avvocato Helmut Bartolini. Fondamentale l’attività peritale della grafologa forense di Bologna Nicole Ciccolo, per la quale la firma era apocrifa: «Quel testamento è stato scritto da un soggetto terzo». Il falsario «doveva assolutamente avere delle scritture autografe di Agazzani» per poterle imitare; e Lusetti non solo «per sua stessa ammissione, ha ricevuto da Agazzani numerosi scritti», ma «durante la perquisizione del febbraio 2016 è stato colto in possesso dell’altro testamento (quello vero) del 2014».

Una conclusione raggiunta «con buona probabilità» e non «con certezza» perché Lusetti si è rifiutato di svolgere il saggio di comparazione. «Si tratta di una scelta difensiva legittima, che tuttavia mina la credibilità soggettiva dell’imputato – secondo il giudice – Soprattutto nella parte in cui ha spiegato come avrebbe ritrovato il testamento casualmente all’interno di un libro regalatogli dal defunto». La ricostruzione di Lusetti, secondo cui Agazzani lo avrebbe indicato come erede universale a scapito di Malavolti, «non trova giustificazione sul piano logico». È considerato un ulteriore indizio il comportamento di Lusetti che, dopo la pubblicazione del testamento, si è affrettato a festeggiare e monetizzare: «vendita dei beni, richiesta di liquidazione della polizza assicurativa di Agazzani», «l’acquisto di ingenti quantitativi di alcolici non pagati», cene con presunti doni da parte di Agazzani agli amici e perfino al notaio, «per fare tutto alla luce del sole» e «per disinnescare eventuali sospetti». Se il movente è stato il vantaggio economico, il giudice ha disposto che «la massa ereditaria deve essere restituita agli eredi», cioè a Daniela, alla quale Lusetti «fece credere che i debiti di Agazzani fossero ingenti» mentre ammontavano a un migliaio di euro. Beni sequestrati che andranno alla sorella del critico d’arte quando la sentenza passerà in giudicato e salvo ribaltoni nel secondo e terzo grado, visto che, ha detto l’avvocato Romani, «il mio assistito continua a professare la propria innocenza che sarà dimostrata in Appello».