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Viaggio in India nei luoghi dove il padre fu internato durante la guerra

Jacopo Della Porta
Viaggio in India nei luoghi dove il padre fu internato durante la guerra

San Martino in Rio I figli sono andati a visitare il campo inglese nel quale Alfredo Salvioli Mariani fu prigioniero dal 1941 al 1946

21 ottobre 2023
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San Martino in Rio Per sei anni Alfredo Salvioli Mariani è stato prigioniero degli inglesi in India, all’epoca colonia della corona britannica. Un lungo periodo di solitudine, sofferenza e privazioni di varia natura, durante il quale l’uomo ha combattuto contro il freddo intenso dell’inverno e il caldo torrido dell’estate. I figli Margherita, Carolina e Giovanni Salvioli Mariani, a distanza di 77 anni, hanno deciso di ripercorre il viaggio del genitore, scomparso da tempo. Un modo per rendere omaggio ai suoi sacrifici e tornare indietro con la memoria, quando il signor Alfredo accennava, col pudore tipico di tanti reduci, agli aspetti più duri di quell’esperienza.

Il 13 ottobre scorso i tre fratelli hanno raggiunto Yol, nello stato indiano dell’Himachal Pradesh, dove nella Seconda Guerra Mondiale migliaia di italiani e tedeschi vennero tenuti prigionieri.

L’antefatto della deportazione lo ricorda Margherita Salvioli (ex segretaria della Cisl di Reggio Emilia). «Mio padre era andato in Eritrea come geometra. E lì venne catturato dagli inglesi». Nel marzo del 1941 la città di Cheren venne presa dai britannici. Iniziò così il lungo viaggio verso l’India, fino ai piedi dell’Himalaya, che il figlio Giovanni ricostruisce. «Da Porto Sudan ad Aden, poi Bombay in nave. Ancora, Bangalore, Pathankot, Nagrota in treno ed infine Yolsu camion. Vi rimarrà fino alla fine del 1946, quasi sei anni, di cui i primi tre nel più completo isolamento dalla famiglia e l’Italia».

I tre fratelli hanno compiuto un viaggio che avevano immaginato a lungo, in un luogo dove tutto è cambiato. «Le belle montagne retrostanti il campo di prigionia sono una rinomata meta turistica - ha scritto Giovanni Salvioli - Dove ai tempi vi era il campo di prigionia ora vi è la sede del Quartier Generale del IX Corpo di Armata “Rising Star” dell’esercito indiano, di importanza strategica vista la vicinanza con il Pakistan». Ovviamente, trattandosi di una installazione militare, non c’è stato modo di entrare. «Così come non è stato possibile percorre l’ultimo tratto in treno da Pathankot a Nagrota sulla ferrovia a scartamento ridotto costruita dagli inglesi nel 1932: nell’agosto dello scorso anno le forti piogge hanno fatto crollare il ponte della ferrovia subito dopo Pathankot».

I fratelli hanno dunque percorso i sentieri che circondano la caserma. È sempre il figlio a fare un resoconto di quella giornata. «Costeggiando la pietraia che scende dalla imponente catena del Dhauladhar riusciamo a raggiungere il punto più vicino al campo. Sul lato opposto della pietraia spuntano le torrette della caserma. In lontananza le poche costruzioni del campo ancora rimaste: due o tre baracche in legno e lamiera con le stanze dei prigionieri, o forse le cucine; comunque, in pessime condizioni, presto non rimarrà più nulla anche di queste. Il sole picchia forte. Sostiamo quanto basta per respirare la stessa aria respirata dai prigionieri del campo per lunghissimi sei anni. Missione compiuta».l

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