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Garza dimenticata nei polmoni: «Un incubo durato quattro anni»

Ambra Prati
Garza dimenticata nei polmoni: «Un incubo durato quattro anni»

Reggio Emilia: l’odissea del maresciallo in congedo Nicola Palladino: «Nessun medico mi sapeva spiegare perché stessi male»

06 novembre 2023
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Reggio Emilia «Quattro anni di febbre alta, fibrillazioni e dolori. Non ne volevo più sapere di ospedali. Finché mia moglie, a mia insaputa, mi ha prenotato una visita a Milano, dove mi hanno salvato la vita prendendomi per i capelli. Così ho scoperto che, durante un’operazione, i chirurghi reggiani avevano dimenticato una garza nel cavo pleurico dei polmoni». A parlare della disavventura sanitaria è Nicola Palladino, 64 anni (ne compirà 65 a dicembre), stimato maresciallo dei carabiniere ora in congedo dopo trent’anni di servizio tra Quattro Castella, Scandiano e Nucleo Operativo di Reggio Emilia.

Le traversie dell’ex comandante iniziano proprio quando, dopo decenni in divisa, avrebbe dovuto godersi il meritato riposo: nel 2013, su consiglio del cardiologo, Nicola Palladino viene sottoposto a un’operazione alla valvola mitralica. «Avevo avuto un infarto. La valvola era da sostituire, anche se poi l’anello non ha tenuto». L’intervento, considerato di routine, viene eseguito al Salus Hospital di via Levi e fila liscio. O almeno così pare.

Pochi mesi dopo compaiono strane febbri. «Una febbre ricorrente a 39-40 gradi, che mi sfiancava. Sono stato ricoverato all’ospedale di Montecchio (dove qualcosa devono aver visto dalle lastre, perché mi hanno chiesto se fossi stato operato al polmone) e poi a Reggio: esami su esami, senza che si riuscisse a venire a capo del perché avessi fibrillazioni che duravano ore. Quando sottolineavo che stavo male da quando ero stato operato mi rispondevano che non significava nulla».

Il 64enne va avanti a forza di antibiotici prescritti dal medico di base. «L’ho vissuta malissimo, soprattutto perché non c’erano una diagnosi, un motivo, un perché: ma continuavo a stare male. Tanto che a un certo punto ho detto basta: non ne potevo più di ricoveri».

Ma la moglie Milena prenota una visita a Milano: «Ho scoperto in seguito che d’estate, mentre mi trovavo in ferie, lei senza dirmi nulla per timore che rifiutassi ha preso l’auto e si è recata a Milano all’Humanitas Research Hospital, un Ircss policlinico ad alta specializzazione, portando tutti i miei documenti clinici».

Nella prima visita il cardiochirurgo, Lucia Torracca, dice al paziente che la situazione è seria: l’anello vicino alla valvola mitralica si è rotto, occorre operare d’urgenza.

«Nell’ottobre 2017, dopo essere stato sottoposto a Tac, coronografia ed esami a contrasto pre-operatori, la dottoressa mi informa che c’è un problema: è stato trovato un “corpo estraneo”».

Vale a dire una garza, che è rimasta in corpo spostandosi e infilandosi tra la pleura e i polmoni. Gli specialisti milanesi decidono di procedere comunque, con il supporto di un chirurgo toracico.

«Sono stato sotto i ferri dalle 7.30 alle 20. In sala operatoria si è alternata un’équipe di tre cardiochirurghi – racconta Palladino –. Ho avuto un’emorragia che ha fatto temere il peggio. Invece mi sono ripreso».

Tenuto in coma farmacologico per cinque giorni, per il 64enne sono seguiti dodici giorni in terapia intensiva e una riabilitazione di 45 giorni prima di poter tornare a casa «con una cartella clinica di 400 pagine». «All’Humanitas devo la vita. Non mi stancherò mai di ringraziarli. La dottoressa Torracca ha fatto un miracolo: ogni anno vado a salutarla».

L’aspetto incredibile, secondo il sopravvissuto, è che «nonostante i numerosi accessi al pronto soccorso della nostra provincia nessuno ha approfondito la presenza di quegli strani “filamenti” nel cavo pleurico. Solo a Milano i medici sono andati fino in fondo: se non avessero scoperto la garza sarei potuto andare in setticemia».

Ora quell’incubo durato quattro anni è alle spalle.

Resta la consapevolezza di una sofferenza che si sarebbe potuta evitare e qualche strascico dal punto di vista psicologico. «Ancora oggi, se non rispondo subito al telefonino, mia figlia si spaventa e si fionda a casa mia. Me la sono vista brutta. Per fortuna sono qui e sto bene: grazie ai medici di Milano e alla mia Milena». l